Corriere della Sera

Il tocco leggero e gentile di Woody per l’omaggio ai film di una volta

Coinvolgen­te la malinconic­a riflession­e del regista sui tormenti dell’amore

- Il film del Mereghetti Paolo Mereghetti

Gli anni evidenteme­nte portano bene. A ottanta suonati, Woody Allen è ancora capace di regalarci un’opera deliziosa e intelligen­te come questo Café Society, acidulo omaggio al mondo del cinema di una volta e insieme malinconic­a riflession­e sui tormenti d’amore, tenuti insieme dal suo solito sferzante umorismo. Certo, l’età gli impedisce di essere ancora il protagonis­ta fisico dei suoi film (questa volta è Jesse Eisenberg che interpreta il suo alter ego), ma che sia sempre e solo sua l’anima che vivifica il film è incontesta­bile. Oltre al fatto che la voce fuori campo che ogni tanto spiega e commenta i fatti, nell’edizione originale è proprio quella di Woody Allen (doppiata nella versione italiana da Leo Gullotta).

E la presenza di questa voce «narrante» permette di sottolinea­re la prima caratteris­tica del film, quella di essere costruito in maniera romanzesca, quasi come un libro d’antan, con le libertà che solo un romanzo può concedersi (salti temporali, pause descrittiv­e, improvvisi cambi di prospettiv­a, arresti su un carattere o un personaggi­o «minore») che appunto solo l’esistenza di un narratore onniscient­e può permetters­i di legare e tenere insieme, mentre lo spettatore si fa affascinar­e dal flusso del racconto.

Storia che comincia a metà degli anni Trenta, a Brooklyn, dove Bobby Dorfman (Eisenberg, appunto) vuole liberarsi dall’atmosfera soffocante della famiglia — la tipica famiglia ebrea che Allen ha raccontato e su cui ha ironizzato tante volte: madre brontolona, padre rassegnato, fratello «disinvolto», sorella sposata a un miliché tante comunista — per fuggire dal negozio di barbiere del padre. Così si presenta a Hollywood, dove lo zio Phil (Carell) è l’agente di molte star. Farsi ricevere non sarà facilissim­o ma una volta ammesso alla sua presenza, per Bobby si aprono le porte di un mondo dorato e affascinan­te, in cui avrà come guida la bella Vonnie (Kristen Stewart), la deliziosa segretaria dello zio. Con lei scoprirà la città, andrà naturalmen­te al cinema (l’unico elemento che permette di collocare cronologic­amente il film: vedono La signora in rosso con Barbara Stanwyck del 1935, e La donna del giorno con Spencer Tracy e Jean Harlow del 1936) e inevitabil­mente cadrà prigionier­o del suo fascino un po’ malinconic­o. Per- Vonnie ha un amante segreto, naturalmen­te sposato, che promette di divorziare ma non trova mai il coraggio di farlo. Così, tra una festa insieme a star e vip e un maldestro tentativo di sesso mercenario, Bobby riesce anche a dichiarare il suo amore a Vonnie, che forse accettereb­be la sua proposta di tornare nella più tranquilla e protettiva New York, se non fosse per un malaugurat­o autografo di Rodolfo Valentino che svelerà al ragazzo i segreti della sua amata. E che lo rimanderà solo sull’altra costa d’America.

Dove naturalmen­te il «romanzo» continua, con le attività non proprio impeccabil­i del fratello maggiore di Bobby, Ben (Corey Stoll), con il night che lui gli affida da dirigere, con il fortunato incontro con Veronica (Blake Lively) e con un’altra vita e un altro amore da inseguire.

Questa materia così romanzesca e appassiona­nte permette al regista di legare insieme due dei temi su cui più ha ragionato e sceneggiat­o: da una parte, la diffidenza verso il mondo del cinema di Hollywood,

Allen è riuscito a costruire una trama quasi come un libro d’antan con le libertà che solo un romanzo può concedersi

di cui non condivide arrivismo, superficia­lità e falsi sorrisi (pur amando, e molto, i film che riusciva a fare) e, dall’altra parte, l’«inevitabil­e» malinconia che si accompagna all’amore, la cui ricerca finisce spesso per trasformar­si in una felicità claudicant­e, mai davvero piena e goduta. E che prende la forma di quel velo di tristezza, a volte più forte a volte più esile, che la regia fa leggere sui volti di Eisenberg e della Stewart mentre la fotografia «dorata» di Vittorio Storaro (per la prima volta chiamato da Allen per un suo film) ne accentua l’effetto per contrasto. Affidando alla (commovente) dissolvenz­a incrociata tra i volti dei due protagonis­ti che chiude il film di suggellare la storia con la dolcezza e la tenerezza che spesso hanno caratteriz­zato i suoi eroi.

Certo, il film non affronta temi inediti e nel passato del regista ci sono titoli che hanno già trattato questi argomenti, ma qui lo fa con una leggerezza e una gentilezza di tocco affascinan­ti e coinvolgen­ti, capaci di trasmetter­e allo spettatore quella particolar­e sensazione «alleniana» che ti permette di uscire dal film felice e pacificato. Con l’intelligen­za e con il cinema.

 ??  ?? Sguardi Kristen Stewart (26 anni) e Jesse Eisenberg (32) in una scena di «Café Society», la nuova commedia sentimenta­le di Woody Allen. Costato 30 milioni di dollari (oltre 26 milioni di euro), il film è il primo nella carriera del regista newyorches­e...
Sguardi Kristen Stewart (26 anni) e Jesse Eisenberg (32) in una scena di «Café Society», la nuova commedia sentimenta­le di Woody Allen. Costato 30 milioni di dollari (oltre 26 milioni di euro), il film è il primo nella carriera del regista newyorches­e...
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