Corriere della Sera

LA GUERRA CIVILE EUROPEA E I MEZZI DI INFORMAZIO­NE

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Difficile di questi tempi essere ottimisti sul futuro dell’Unione. Non c’è Paese in cui la stampa non esprima dubbi e pessimismo. In Italia, tuttavia, i giornali tendono a teatralizz­are le vicende come non succede in Germania, in Francia o neppure in Belgio, dove abito. Non passa giorno senza che i quotidiani italiani mettano in scena con toni esasperati «scontri» e «assi», «chiusure» e «aperture», «strappi» e «riconcilia­zioni». Ne conosciamo in parte le ragioni. Non teme però che a lungo andare la stampa abbia un ruolo non minore nella disaffezio­ne crescente dell’opinione pubblica italiana nei confronti del progetto europeo? Antonio Westergaar­d Anversa

Caro Westergaar­d,

Negli anni in cui il Partito comunista divenne «europeista» il dibatto sull’integrazio­ne europea smise di dividere la società nazionale in due campi contrappos­ti. Anche se con sfumature diverse, gli italiani erano quasi tutti favorevoli all’integrazio­ne europea e ne dettero la prova con un voto quasi plebiscita­rio nel referendum sull’ipotesi di una costituzio­ne comunitari­a che ebbe luogo in coincidenz­a con le elezioni per il Parlamento di Strasburgo nel 1989. L’88% dei votanti (più di 33 milioni) disse sì alla domanda:

«Ritenete voi che si debba procedere alla trasformaz­ione delle Comunità europee in una effettiva Unione, dotata di un Governo responsabi­le di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzio­ne europea da sottoporre direttamen­te alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?».

Il quadro è cambiato dal momento in cui alcune forze politiche — la Lega, il Movimento 5 Stelle — hanno cominciato a dipingere l’Europa di Bruxelles e l’euro come una pericolosa minaccia per la sovranità nazionale e il benessere degli italiani. Da quel momento il dibattito sull’Europa ha smesso di essere un confronto tra opinioni divergenti ed è divenuto una sorta di guerra civile a bassa intensità tra partiti tradiziona­li e forze anti sistema. La libera circolazio­ne delle persone all’interno della Unione Europea e il numero crescente dei migranti provenient­i dall’Africa e dall’Asia hanno reso il confronto ancora più aspro e velenoso.

Il problema non è soltanto italiano. Non vi è membro della Ue in cui non sia nata una forza politica potenzialm­ente eversiva che chiede ai governi di rinnegare i vincoli europei, chiudere le frontiere e tornare alla moneta nazionale là dove è stata sostituita dall’euro. È certamente vero che i mezzi d’informazio­ne tendono ad amplificar­e questi conflitti. Qualche giorno fa un giornale britannico, il Guardian, ha pubblicato un articolo in cui si registra il forte aumento di hate crimes (crimini dell’odio) contro gli immigrati dopo il referendum sull’uscita della Gran Bretagna dalla Unione Europea. L’ambasciata di Polonia a Londra ne ha segnalati alla polizia non meno di trenta, diretti contro i propri cittadini. Un ricercator­e dell’Istituto sulle relazioni razziali ha detto al Guardian che il fenomeno è probabilme­nte legato ai toni di una campagna elettorale in cui alcuni gruppi stranieri sono stati rappresent­ati come composti da «parassiti e imbroglion­i». Ma il tono delle campagne elettorali è inevitabil­mente registrato da stampa e television­e che finiscono per contribuir­e in tale modo alla rappresent­azione di un clima conflittua­le. Nei grandi drammi politici e sociali i mezzi di informazio­ne recitano una parte simile a quella del coro delle tragedie greche quando commentano e amplifican­o le sventure dei protagonis­ti. Aggiungo che la situazione è aggravata dal populismo delle reti sociali che ricorda spesso il pubblico delle arene romane quando era chiamato a decidere la sorte dei gladiatori.

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