Se la politica non fa progetti
attraente, per alcuni neppure necessario. Le possibili spiegazioni di tale deficit culturale sono tante: abbiamo una classe dirigente sempre più scadente e che ritiene di non aver bisogno di qualsivoglia approfondimento; la lunga stagione di crisi ha imposto atteggiamenti e comportamenti di adattamento agli eventi, quasi una passività continuata; la accentuata articolazione delle sfide competitive imprigiona l’attenzione degli imprenditori in pieghe e in dinamiche di nicchia, e non certo di tipo sistemico; senza negare, per dovere di autocoscienza, che la stessa offerta di interpretazione e progettazione che viene dai centri di ricerca, di consulenza e di formazione sembra a dir poco cigolante.
Verosimilmente questi fattori possono bastare per spiegare la caduta dell’intenzionalità settembrina; ma sorge anche il sospetto che in tale caduta ci sia qualcosa di più profondo e stabile. Io credo che l’anno di lavoro non segua più il suono del campanello della riapertura delle fabbriche e degli uffici, ma assuma un andamento più labile per effetto della crescente importanza del turismo e dei suoi tempi.
Specialmente in un anno che ha avuto una fiammeggiante estate turistica, dovunque si guardi si scoprirà che la testa di milioni di cittadini italiani non è presa in esclusiva dal settembre che introduce un lungo ciclo annuale, ma tende a funzionare su altri ritmi: l’allungamento di giorni di alta stagione; l’attesa dei prossimi periodi di consistente flusso turistico