Corriere della Sera

Max riporta sulla terra una squadra che si specchia troppo

- Di Alessandro Bocci Paolo Tomaselli

Certe notti, come canta il Liga, la strada non conta e quello che conta è sentire che vai. Zagabria è una di quelle notti. La Juve deve vincere. Come, importa sino a un certo punto. La priorità è mettere in discesa il girone di Champions, che sembrava facile e invece dopo il pari con il Siviglia è diventato una salita ripida. Il pragmatico Allegri è un uomo di mare e capisce in fretta come gira il vento. Così ha rilanciato l’allarme e scelto i destinatar­i del suo messaggio: i giocatori, prima ancora che i dirigenti o i tifosi. Chiunque si sia illuso di avere vita facile. Non bastano Higuain e Pjanic, gli acquisti eccellenti di un mercato faraonico, per vincere le partite. Il campo dice altro. La difesa invecchia, il centrocamp­o aspetta Marchisio e in attacco l’alternanza HiguainMan­dzukic sino adesso non ha funzionato. La perfezione non è di questo mondo. Ma la Juve è più indietro di quanto fosse logico aspettarsi. Tocca ad Allegri far quadrare il cerchio bianconero: perfeziona­re i meccanismi, trovare il sistema adatto alla squadra e la posizione ideale a Pjanic, anche recuperare il miglior Cuadrado che può fare la differenza. Stabilire le gerarchie e far scattare la scintilla. L’anno scorso ha fatto un capolavoro. Adesso deve riprovarci. Lo sfogo accorato di Max è l’ultimo avviso ai naviganti: vietate le illusioni. Tornate sulla terra: per vincere non bastano i nomi.

Realismo

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in Dinamo-Stella Rossa, Zorro Boban prese a calci un poliziotto, diventando così uno dei primi simboli del conflitto ormai imminente.

Stasera si rivedono in curva i pessimi hooligans «Bad Blue Boys», ma qui ci sono battaglie ben diverse all’orizzonte. «Perché queste sono serate che poi ti ricordi solo se non vinci — avverte Chiellini —. Mi viene in mente Bate Borisov-Roma dello scorso anno: se ti complichi la vita poi per recuperare è come se giocassi tre partite in una. Noi siamo qui per vincere, ma questo non vuol dire che non ci interessa giocare bene». Perché la partita più difficile per la Juve a volte è proprio quella con se stessa. Soprattutt­o in Champions, il luogo in cui i nuovi complessi si aggiungono a quelli più antichi.

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