Il primo bambino nato da «tre genitori»
In Messico l’esperimento di fecondazione assistita con la tecnica del triplo Dna
Abrahim è il primo bebè nato con la tecnica dei «tre genitori». In Messico i medici del team dell’americano John Zhang hanno preso l’ovocita di una donatrice e lo hanno svuotato del nucleo lasciandogli il mitocondrio. All’interno hanno quindi inserito il nucleo della mamma, portatrice di una malattia genetica. L’ovocita ricomposto è stato fertilizzato in provetta dallo spermatozoo del padre.
Nelle fotografie pubblicate ieri sul web, Abrahim sembra un neonato come tanti. Cuffietta bianca, avvolto in una coperta a scacchi celesti, si esibisce nelle smorfie tipiche di chi è uscito da poche ore dal grembo materno. Però è un bambino eccezionale, primo bebè venuto al mondo con la tecnica dei «tre genitori», approvata ufficialmente solo nel Regno Unito.
Ecco come è successo. I medici del team coordinato dall’americano John Zhang hanno preso l’ovocita di una donatrice e lo hanno svuotato del nucleo lasciandogli il mitocondrio, l’organello necessario alla cellula per avere energia. All’interno hanno quindi inserito il nucleo della mamma di Abrahim. L’ovocita così ricomposto è stato fertilizzato in provetta dallo spermatozoo del padre. Si è sviluppato un embrione sano.
Il bambino rischiava di nascere come le due sorelline, non sopravvissute, perché avrebbe ereditato dalla madre una malattia rara gravissima, causa di menomazioni drammatiche e priva di cure, la sindrome di Leight. La sua origine è in un’anomalia del Dna del mitocondrio. Dunque, l’unico modo per evitare alla coppia l’ennesima sofferenza e al figlio un’esistenza normale era ricorrere a un’acrobazia.
Chiamarla tecnica dei «tre genitori» è definizione impropria. In realtà infatti il piccolo possiede il Dna di mamma e papà, non quello del mitocondrio che non ha un ruolo nella trasmissione dei caratteri ereditari ed è composto da una manciata di geni ininfluenti. Zhang lavora presso il New Hope Fertility Center di New York ma per evitare problemi e polemiche ha preferito effettuare il trattamento genetico in Messico, dove non ci sono divieti. «Salvare vite è il mio scopo, è l’unica etica che ha valore», dice per mettere a tacere i suoi detrattori.
Giuseppe Novelli, genetista, rettore dell’università di Tor Vergata, sgombra il campo dagli equivoci: «Le polemiche non hanno senso. In questo caso non c’è manipolazione, le cellule germinali dei genitori non subiscono modificazioni, niente ingegneria genetica. Le donne con alterazioni del mitocondrio potranno sperare di avere bimbi sani». Oltretutto in questi casi la diagnosi prenatale (amniocentesi o villi coriali) è inutile. I difetti degli organelli quando esistono si distribuiscono in tutti i tessuti e quelli malati potrebbero non essere localizzati nel liquido amniotico prelevato e analizzato. Ora Abrahim Hassan ha 5 mesi. Un miracolo per i genitori giordani che sognavano una famiglia da 20 anni, una storia tristissima alle spalle: 5 aborti, due figlie con la sindrome di Leight che ha colpito irrimediabilmente il loro sistema nervoso, morte rispettivamente a sei anni e otto mesi. Solo con l’arrivo della primogenita hanno scoperto il motivo dell’infertilità.
A febbraio del 2015 il Parlamento inglese ha approvato la legge, sostenuta anche dal governo conservatore di Cameron, che legalizza la tecnica dei tre genitori. Furono sollevate obiezioni da una parte della comunità scientifica preoccupata dalla prospettiva di un futuro di bimbi su misura, creati in laboratorio. «Invece bisogna parlare di vite salvate — spiega Novelli —. I mitocondri possiedono una funzione fondamentale per le cellule ma non influenzano l’eredità genetica. Nel nostro corpo abbiamo migliaia di Dna di virus e batteri, ne siamo immersi».