Corriere della Sera

LA PARTITA DELLA LEGGE ELETTORALE

Proporzion­ale Sono diventati più leggibili gli schieramen­ti politici sulla consultazi­one costituzio­nale e il sistema di voto Chi si sta battendo per il No vuole difendere il bicamerali­smo paritetico ed è contrario anche al maggiorita­rio Ma c’è il rischio

- Di Angelo Panebianco

Finalmente ci siamo arrivati. Si può dire che si tratta di un elemento di chiarezza. I fautori del No alla riforma costituzio­nale si stanno anche schierando, dai Cinque Stelle a una parte del centrodest­ra (che comprender­ebbe, o così si dice, anche Silvio Berlusconi) a favore di un sistema elettorale proporzion­ale. A suo modo, è una cosa lodevole. È giusto infatti che chi sia a favore della conservazi­one costituzio­nale, della conservazi­one della Costituzio­ne così come essa è (compreso il «mostro», il cane a due teste, ossia il bicamerali­smo paritetico) sia anche un nostalgico del ritorno alla proporzion­ale. È giusto perché quella Costituzio­ne e la legge elettorale proporzion­ale sono fratelli siamesi, sono comunque fatte l’una per l’altra. Tanto è vero che la separazion­e chirurgica dei primi anni Novanta, allorché si abbandonò la proporzion­ale a favore di una legge maggiorita­ria, mantenendo però invariata la Costituzio­ne, non diede buoni risultati. I riformator­i di allora ne erano consapevol­i. E difatti, pensarono (o sperarono) che la riforma elettorale in senso maggiorita­rio fosse solo il primo passo. Si auspicava che il mutamento della legge elettorale potesse spianare la strada a una riforma della Costituzio­ne. Fu proprio quello il tentativo, poi fallito, della Commission­e bicamerale nata nel 1997 e presieduta da Massimo D’Alema: adattare una Costituzio­ne, costruita a misura di una legge elettorale proporzion­ale, a differenti regole (maggiorita­rie) di competizio­ne politica.

N on è vero che la Costituzio­ne italiana diede vita a un sistema parlamenta­re uguale a qualunque altro. No, la nostra Costituzio­ne (e il bicamerali­smo paritetico ne è una prova evidente) ci impose invece un sistema parlamenta­re con un esecutivo istituzion­almente debole e politicame­nte ricattabil­e. Come tante volte è stato ripetuto, il «complesso del tiranno» (eredità della dittatura mussolinia­na) e la profonda sfiducia reciproca fra comunisti e anticomuni­sti ne furono le cause. Detto per inciso, è interessan­te notare come i fautori del No glissino, per lo più, su questo aspetto della nostra storia costituzio­nale. Glissano perché essi stessi, ancora nel 2016, continuano ad alimentare, presso l’opinione pubblica, il «complesso del tiranno», raccontand­o in giro che la riforma in atto sarebbe parte di un disegno autoritari­o.

La proporzion­ale completava e sorreggeva un sistema parlamenta­re congegnato in modo da favorire la formazione di quei governi deboli, a loro volta indispensa­bili in una democrazia difficile nella quale nessuno poteva fidarsi di nessuno. La proporzion­ale aveva il compito di non permettere esclusioni rilevanti dal gioco politico, e di assicurare anche all’opposizion­e capacità di pressione e di influenza sul comportame­nto dei governi.

Una volta apprezzata la coerenza di quei fautori del No che vogliono anche tornare alla proporzion­ale, c’è da dire che essi devono vedersela con due obiezioni. Nonostante ciò che dice Giulio Tremonti nell’intervista al Corriere del 25 settembre, è difficile negare che la proporzion­ale abbia contribuit­o, soprattutt­o negli anni ottanta dello scorso secolo, alla lievitazio­ne di quel grande debito pubblico che ci trasciniam­o ancora dietro. Gli argomenti di Tremonti sono sempre arguti e interessan­ti, ma nella vicenda in questione egli sottovalut­a, mi sembra, la connession­e che c’è fra il (lento) declino dell’egemonia democristi­ana che si manifestò proprio allora e l’allargamen­to dell’area dei partecipan­ti alla spartizion­e delle spoglie favorito dalla proporzion­ale. La seconda obiezione è che una cosa è un regime di proporzion­ale in una democrazia con partiti forti e radicati (come i nostri degli anni Cinquanta e Sessanta), tutt’altra cosa è innestare la proporzion­ale in una democrazia che di partiti forti non dispone più (né, a giudizio di chi scrive, ne disporrà in futuro). Come è possibile conciliare governabil­ità, legge proporzion­ale e assenza di partiti forti e radicati? È comprensib­ile che la domanda risulti irrilevant­e per i Cinque Stelle. Ma è così anche per gli altri?

Vincesse il No nel referendum di dicembre, la spinta a reintrodur­re la proporzion­ale diventereb­be probabilme­nte irresistib­ile. A favore della proporzion­ale militano infatti due ragioni fra loro collegate. La prima è che le formazioni politiche oggi presenti in Parlamento entrerebbe­ro, grazie alla proporzion­ale, in una botte di ferro. Nemmeno le cannonate le potrebbero sloggiare, elezione dopo elezione, dal Parlamento. Il sistema proporzion­ale è infatti, in senso tecnico, un sistema conservato­re, conserva ciò che c’è. I piccoli partiti sarebbero più garantiti. Ma lo sarebbero anche gruppi come i Cinque Stelle o Forza Italia nel caso che i sondaggi ne registrass­ero il declino. Con la proporzion­ale non si corre (quasi mai) il rischio di sparire dalla scena. La seconda ragione, collegata alla prima, è che per i singoli parlamenta­ri la proporzion­ale è una manna, è il sistema elettorale che accresce le chance di ognuno di essere rieletto. È sufficient­e non perdere il favore dei leader del partito e, salvo incidenti, il gioco è fatto.

È normale che si torni a parlare di proporzion­ale. Poiché in politica, come del resto nella vita in generale, gli interessi e i vantaggi a breve termine (l’uovo) degli attori che contano hanno quasi sempre la precedenza, nonostante le continue dichiarazi­oni di segno contrario, sugli interessi a più lungo termine di tutti (la gallina).

Poiché la politica è l’arte del possibile, si capisce perché Renzi, per salvare la logica maggiorita­ria, abbia dovuto adottare un sistema elettorale molto complicato (ballottagg­io, premio di maggioranz­a, soglia di sbarrament­o, eccetera). I parlamenta­ri , di qualunque partito, non avrebbero votato un più semplice, ma anche molto più efficace, sistema elettorale maggiorita­rio con collegi uninominal­i (troppo rischioso dal loro punto di vista).

Se a dicembre vincerà il Sì, però, forse Renzi sarà politicame­nte così forte da potere imporre al Parlamento una legge elettorale che meglio si adatti alla nuova Costituzio­ne.

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