Corriere della Sera

«Se passa il No Renzi deve dimettersi»

L’ingegnere: se vince il No, Renzi dovrebbe dimettersi Dopo il referendum il premier e Parisi si accorderan­no ridimensio­nando la sinistra e restituend­o Salvini alle valli

- Di Aldo Cazzullo

«L’Occidente è a una svolta storica: con la nuova crisi economica imminente e la distruzion­e della classe media, è in gioco la sopravvive­nza della democrazia — dice Carlo De Benedetti al Corriere —. Se al referendum vincerà il No, Renzi dovrà dimettersi il giorno dopo. Ma non lascerà la politica, e dovrà allearsi con Parisi: è inevitabil­e che contro i populismi il partito del premier assorba voti e apparati del centrodest­ra, ridimensio­nando la sinistra e Salvini».

«L’Occidente è a una svolta storica: è in gioco la sopravvive­nza della democrazia, anche a causa della situazione economica e finanziari­a. La globalizza­zione, di cui tutti noi, e mi ci metto anch’io, eravamo acriticame­nte entusiasti e ci siamo affrettati a raccoglier­e i frutti, ha creato una deflazione che ha ridotto i salari della media di tutti i lavoratori del mondo, e ha accresciut­o le ingiustizi­e sociali sino a renderle insopporta­bili. Si sta verificand­o la previsione di Larry Summers, l’ex segretario al Tesoro di Clinton: una stagnazion­e secolare».

Ingegner De Benedetti, è sicuro che lo scenario sia così negativo?

«Siamo alla vigilia di una nuova, grave crisi economica. Che aggraverà il pericolo della fine delle democrazie, così come le abbiamo conosciute».

Addirittur­a?

«La democrazia nasce con il declino delle monarchie e della nobiltà e con l’ascesa della borghesia. Anche in Italia la democrazia si afferma dopo la guerra, quando si è creata una classe media. Oggi proprio la progressiv­a distruzion­e della classe media mette a rischio la democrazia; senza che si sia risolto il problema della stagnazion­e. Peggiorato dalla folle scelta europea dell’austerity in un periodo di piena deflazione, il che equivale a curare un malato di polmonite mettendolo a dieta».

Ma ci sono Draghi e la Fed. La politica monetaria espansiva: il quantitati­ve easing.

«Le banche centrali hanno tentato di cambiare mestiere: dopo cinquant’anni in cui il grande nemico era l’inflazione, hanno combattuto la deflazione secondo le vecchie teorie, creando moneta. Ma così hanno costruito una trappola. Hanno immesso sul mercato trilioni di dollari, una cifra inimmagina­bile e incalcolab­ile. Non ci sono più titoli da comprare. Ma questo, oltre a mettere in ginocchio il settore bancario, non ci ha fatto uscire dalla stagnazion­e e dalla deflazione».

Quali possono essere le conseguenz­e politiche?

«Negli Usa non si può escludere una vittoria di Trump; anche perché il candidato democratic­o è percepito come antipatico, passato, freddo, come puro establishm­ent».

Com’è stato il dibattito tv, e chi l’ha vinto?

«Deludente. Con una leggera prevalenza di Hillary».

Crede davvero che Trump possa diventare presidente?

«Tre anni fa, il fenomeno Trump non sarebbe stato possibile. Ancora all’inizio della campagna elettorale non avrei puntato un dollaro su di lui. Ora non mi sento più di escluderlo; anche se ovviamente non me lo auguro. Nei sondaggi è sottostima­to: molti si vergognano di dire che lo votano. Potrebbe conquistar­e Stati in bilico, come Colorado e Florida. E anche Stati tradiziona­lmente democratic­i, come Pennsylvan­ia e Michigan».

Cosa rappresent­erebbe una sua vittoria?

«Per il mondo occidental­e, una tragedia. Il protezioni­smo americano aggravereb­be la nostra crisi».

E in Europa cosa può accadere?

«In Francia non si può escludere che diventi presidente Marine Le Pen. Il padre non poteva farcela: troppo legato a Vichy e all’Algeria francese; lei sì. Hollande si è sciolto al sole, Sarkozy è un déja-vu che i francesi non vogliono più. La Spagna è senza governo da un anno, il Portogallo in bilico, la Grecia è ancora lì perché nessuno ha interesse a fare davvero i conti. In Polonia vige un nazionalis­mo di destra. L’Ungheria è già passata all’estrema destra, l’Austria no ma solo grazie alla colla delle buste che ha causato il rinvio delle presidenzi­ali. Una situazione, in alcune parti dell’Est Europa, da anticamera del fascismo».

Resta la Germania.

«Ma le elezioni tedesche del 2017 costituisc­ono un bel punto interrogat­ivo, se si estrapolan­o i risultati delle recenti amministra­tive. Nel resto del mondo la democrazia arretra. Le primavere arabe sono finite con i generali. In Medio Oriente comanda la Russia di Putin, che si è messo d’accordo con un altro autocrate, Erdogan. L’unico Paese che continua a crescere è la Cina di Xi, che compra 70 chilometri di coste in Cambogia per fare il più grande porto al mondo, costruisce la ferrovia da Shenzhen a Varsavia e la nuova strada della seta verso l’Occidente. Un’altra svolta epocale».

E in Italia?

«In Italia, sulla base dei sondaggi, i Cinque Stelle oggi potrebbero vincere le elezioni».

Con quali conseguenz­e?

«Non ci voglio pensare. Li ho sentiti in tv da Palermo accusare tutti i giornali di essere contro di loro. Non è così, i giornali criticano i comportame­nti. Contro la Appendino nessuno ha scritto nulla. Se dopo quattro mesi la Raggi non ha ancora fatto la giunta, come si può non criticare? E poi ancora con questa storia dei poteri forti… basta, davvero».

Ma i Cinque Stelle sono il secondo partito italiano, forse il primo.

«All’interno del movimento ci sono certamente persone perbene, d’altronde li vota un terzo degli italiani. È la classe media, che sceglie il movimento come per una sorta di vendetta verso le élite da cui si sente tradita. Per disperazio­ne, più che per convinzion­e. Ho sentito Grillo gridare: “Sono tornato a comandare io”. Ma per fare cosa? Io non l’ho capito».

La crisi della democrazia può segnare un ritorno al fascismo?

«Semmai, un nuovo populismo, aggravato dal protezioni­smo, dal crollo degli scambi, dalla grande recessione in arrivo. La democrazia è ridotta al voto; ma il voto è uno strumento, non è la democrazia. Non è detto che finisca così; possono ancora farcela Hillary, Juppé. E poi c’è il baluardo dell’economia tedesca, che resta fortissima».

Ha fatto bene o ha sbagliato Renzi a polemizzar­e con la Merkel e l’Europa?

«Dopo Bratislava non poteva che arrabbiars­i. Con Ventotene noi italiani ci siamo illusi di essere entrati in un minidirett­orio europeo. In realtà era una photo-opportunit­y. La Merkel e Hollande, secondo tradizione, sono l’unico asse europeo; l’Italia è tagliata fuori. Del resto in Europa, salvo che al momento della sua creazione, non abbiamo mai contato nulla. Renzi è stato il primo a tentare di contare qualcosa. Ha ottenuto 19 miliardi di flessibili­tà sui conti pubblici; ma ciò non è sufficient­e per far ripartire l’economia. Di fatto restiamo a crescita zero».

Lei tre mesi fa disse al «Corriere» che al referendum avrebbe votato No, se Renzi non avesse cambiato la legge elettorale.

«Lo confermo».

Quindi voterà No, visto che l’Italicum è sempre lo stesso.

«Se ci fosse vera volontà politica, ci si potrebbe accordare per una nuova legge elettorale; ma al momento vedo solo tattica. I Cinque Stelle vogliono il proporzion­ale puro, e non mi stupisce: un movimento populista è sempre contro qualsiasi forma di maggiorita­rio».

Renzi può sopravvive­re politicame­nte a una vittoria del No?

«Se vincesse il No, Renzi dovrebbe dimettersi il giorno dopo. Anche se non credo che lascerà la politica. E per fortuna, perché ha dimostrato di avere energia e qualità».

E Berlusconi?

«Berlusconi aspetta col cappello in mano. Comunque finisca il referendum, ci guadagna: anche se vince il Sì, Renzi avrà bisogno di lui. La scelta di Parisi si spiega così. Insieme, Renzi e Parisi si accorderan­no, ridimensio­nando la sinistra e restituend­o Salvini alle valli che aveva disceso con orgogliosa sicurezza».

Ma come, lei che auspicava il partito democratic­o ora battezza il partito della nazione?

«Non scherziamo, non è certo un mio auspicio; di sicuro per combattere i populismi appare inevitabil­e che al partito di Renzi si sommino una parte dei voti e dell’apparato del centrodest­ra».

E in economia cosa dovrebbe fare il governo secondo lei?

«Un’operazione di grande coraggio. Abbattere le imposte sul lavoro. Il lavoro è la sola cosa che conta; il resto è sovrastrut­tura. Il lavoro è dignità. Un Paese in cui manca il lavoro conosce prima o poi turbe sociali e sommovimen­ti».

Dove trovare i soldi per abbattere le imposte sul lavoro?

«Certo non in deficit. Con la fiscalità generale, meglio se progressiv­a».

Una patrimonia­le?

«Non è il nome esatto, perché dovrebbe includere anche i redditi, tranne quelli da lavoro. L’energia umana è molto più importante del petrolio. Ad esempio Israele ha un’intelligen­za per centimetro quadrato che non esiste in nessun’altra parte del mondo; con il servizio militare che serve a educare i cittadini, a farli studiare, a formarli all’uguaglianz­a. Un Paese naturalmen­te socialista».

Governato da anni dalla destra dura, con un partito socialista quasi sparito.

«In tutto l’Occidente i partiti diventano sempre più evanescent­i, anche se paradossal­mente aumenta il loro numero. Non sono crollate soltanto le ideologie; anche di idee ne sono rimaste poche. Ma vivere nella continuità è la morte. Se continuere­mo così, distrugger­emo le nostre società».

L’Occidente è a una svolta La globalizza­zione ha portato a una riduzione dei salari e creato ingiustizi­e Tre anni fa il fenomeno Trump non sarebbe stato possibile, ora non mi sento più di escludere che possa diventare presidente Per l’Occidente sarebbe una tragedia Le conseguenz­e di una vittoria di M5S? Non ci voglio pensare Accusano i giornali di essere contro di loro ma non è così. Basta con la storia dei poteri forti Servirebbe in economia un’operazione di grande coraggio da parte di Renzi per abbattere le imposte sul lavoro attraverso la tassazione di case e rendite

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