Corriere della Sera

UNA SPIRALE CHE PUÒ PORTARE ALLE ELEZIONI ANTICIPATE

- di Massimo Franco

Più che una campagna referendar­ia, somiglia a una marcia di avviciname­nto alle elezioni anticipate. Quando il premier Matteo Renzi rispolvera il progetto della costruzion­e dello Stretto di Messina e fa balenare il miraggio di centomila posti di lavoro, sembra parlare agli elettori del Sud. E quando Beppe Grillo intima al Movimento 5 Stelle di tacere su Roma dove Virginia Raggi non riesce ancora a completare la giunta, rivela un sacro terrore di perdere il controllo appena riconquist­ato.

In entrambi i casi, si ha la conferma che di qui al 4 dicembre, il referendum costituzio­nale sarà condiziona­to da calcoli politici. Di più, elettorali. E le ragioni «di merito» del Sì e del No, purtroppo, scivoleran­no in secondo piano. L’impression­e di una resa dei conti al rallentato­re è diffusa e radicata. Lo confermano gli appelli, provenient­i dall’interno dello stesso Pd, a non trasformar­e la consultazi­one in una «guerra ideologica». Il governator­e della Toscana, Enrico Rossi arriva a dire candidamen­te che bisognereb­be «parlare anche di altro, non so, di povertà. E allora forse può darsi che il sì possa riprenders­i».

Colpisce la determinaz­ione con la quale anche l’ex presidente della Commission­e Ue, Romano Prodi, evita di schierarsi. «Ho le idee chiarissim­e ma non mi pronuncio neanche sotto tortura. Perché», spiega, «infilarmi in una rissa che è più dura di quella tra Hillary Clinton e Donald Trump?». Si tratta di un atteggiame­nto che non riflette soltanto l’incertezza dell’esito referendar­io. Mostra soprattutt­o il timore da parte di molti di essere strumental­izzati dall’uno o dall’altro campo.

Non è un viatico incoraggia­nte per Renzi, che forse sperava in un pronunciam­ento a favore del Sì. Il capo del governo ripete di essere convinto di vincere: come i suoi avversari, d’altronde. Continua a impegnarsi in prima persona per spiegare che «le riforme non riducono la democrazia ma le poltrone». Ma questa dinamica lo condanna a identifica­rsi col referendum. È inevitabil­e: tanto, se non lo fa lui lo fanno i fautori del no. I toni che si rialzano, tuttavia, rischiano di radicalizz­are le posizioni. La conseguenz­a è di conferire alla consultazi­one un carattere da ultima spiaggia; e di incornicia­re il risultato del 4 dicembre, qualunque esso sia, su uno sfondo che espone artificios­amente l’Italia come nazione in bilico.

Lega, FI e M5S non fanno mistero di puntare a fare cadere Renzi: obiettivo che la minoranza del Pd coltiva più segretamen­te. Il premier, invece, sa che vincere sarebbe l’unico antidoto a un logorament­o vistoso. Il referendum gli serve per puntellars­i e rilanciars­i; e magari per liberarsi una volta per tutte dei Dem che gli sono ostili. Per riuscirci, però, deve rovesciare i sondaggi che lo danno in svantaggio, convincend­o i molti indecisi. E se la rimonta dovesse fallire, l’obiettivo minimo è dimostrare che senza di lui non si può governare fino al 2018.

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