Corriere della Sera

Tajani capo dell’Europarlam­ento? Una partita italiana nell’autunno Ue

La corsa per il dopo Schulz (che non vuole dimettersi). Strategia bipartisan per Roma

- di Paolo Valentino

Nella cassaforte del suo ufficio a Bruxelles Manfred Weber, capogruppo del Ppe al Parlamento europeo, custodisce gelosament­e un documento. È una paginetta, firmata di pugno da Martin Schulz, nella quale il presidente socialista dell’Assemblea della Ue si impegna a dimettersi all’inizio del 2017. È il frutto dell’intesa raggiunta nel giugno di due anni fa da Schulz e Jean-Claude Juncker, uscito vincitore dalle elezioni europee. Messa alle spalle l’acrimonia della campagna, il leader dei popolari e quello dei socialisti avevano sottoscrit­to un patto di ferro, in nome di un maggior peso politico per entrambe le istituzion­i bruxellesi di fronte al potere crescente dei governi nazionali: il lussemburg­hese Juncker alla testa della Commission­e, il tedesco Schulz confermato alla guida del Parlamento, che aveva già presieduto nella seconda metà del precedente mandato. Corollario imprescind­ibile dell’accordo, il cambio della guardia a metà legislatur­a tra Schulz e un popolare designato dal gruppo Ppe.

Ci sono pochi dubbi che questa versione comunitari­a della Grosse Koalition abbia funzionato. Bene per l’Unione, dicono i suoi sostenitor­i, che vedono i due come un argine all’avanzare degli egoismi nazionali. Troppo bene, secondo i critici, che rimprovera­no a Schulz di aver messo la mordacchia alla funzione di controllo dei commissari propria dell’Europarlam­ento. Più importante è che, a dispetto dell’impegno preso, Schulz lavori da mesi ad assicurars­i la terza elezione al vertice del Parlamento e che il suo principale alleato sia proprio Juncker.

La prossima presidenza dell’Assemblea di Strasburgo è la grande partita dell’autunno, anche se il voto decisivo sarà il 16 gennaio. Ma per una di quelle imperscrut­abili ironie di cui la politica è maestra, è una partita che offre a Matteo Renzi l’opportunit­à di condurre un’operazione di sistema-Paese, che se riuscisse non solo rafforzere­bbe l’Italia in Europa, ma potrebbe anche rivelarsi una mossa con ricadute positive sul piano interno.

Di cosa si tratta? Il piano di Schulz e Juncker, il gatto e la volpe della vicenda, trova un solo, ma fondamenta­le ostacolo: la determinaz­ione dei deputati europei del Ppe a far valere gli impegni, designando il proprio candidato per la presidenza. Così, ai primi di settembre Schulz e Juncker hanno invitato Weber a colazione al Berlaymont, per convincerl­o a far desistere i suoi parlamenta­ri dalla designazio­ne. Schulz in realtà si muove a tutto campo: ignorato negli inviti al Consiglio europeo di Bratislava, si è lamentato con i capi di governo dell’umiliazion­e inflitta al Parlamento, per confermare il suo ruolo di paladino dell’Assemblea Ue.

«L’argomento più forte al loro arco — dice una fonte parlamenta­re — è che l’accordo del 2014 comprendev­a tutte e tre le presidenze: Commission­e, Consiglio e Parlamento. Quella del Consiglio toccava ai socialisti. Invece andò al popolare Tusk». Offerta in verità all’Italia, che invece preferì battersi per il posto di Alto Rappresent­ante per Federica Mogherini, la casella sfuggì ai socialisti. Che si accontenta­rono del Parlamento. «Se ora ci fosse il cambio della guardia, i popolari finirebber­o per occupare tutte le cariche apicali di Bruxelles». Ma il gruppo Ppe non vuol sentire ragioni. E ha imposto a Weber un calendario serrato: il 16 novembre rinnoverà le cariche interne e, il 15 dicembre, designerà il proprio candidato alla presidenza. Ed ecco il punto. I favoriti sono in tre e fra di loro c’è un italiano. Accanto alla irlandese Mairead McGuinness e al francese Alain Lamassoure, il nome più titolato è infatti quello di Antonio Tajani, attuale vice-presidente del Parlamento. Il deputato di Forza Italia è stato commissari­o europeo dal 2008 al 2014, prima ai Trasporti e poi all’Industria, nonché vice-presidente della Commission­e. Il giudizio sul suo operato, soprattutt­o all’Industria, è largamente positivo. Non è stato scalfito dalla Commission­e d’inchiesta sul Dieselgate di Volkswagen e al momento di lasciare ha rifiutato la liquidazio­ne di 500 mila euro che spetta a tutti i commissari. All’interno del Parlamento Tajani gode di un appoggio vasto, oltre quello dei popolari: «Sono stato il più votato dei vice-presidenti e ho preso 50 voti più di Schulz», ricorda.

Certo quella del 15 dicembre sarà una decisione interna al Ppe. Ma farebbe una differenza se il governo italiano lanciasse un’offensiva bipartisan, all’inizio discreta, segnalando che Tajani potrebbe contare al momento decisivo sul suo appoggio e su quello dei deputati europei del Pd (i più numerosi del gruppo socialista) se venisse designato. Contribuir­e a portare un italiano al vertice dell’Europarlam­ento sarebbe un successo non da poco per Matteo Renzi, spendibile anche sul convulso piano interno. Lo farà? Non ci sono precedenti, ma folgorazio­ni sulla via di Strasburgo non sono da escludere. L’ultimo presidente italiano del Parlamento europeo fu nel 1977-79 Emilio Colombo, il quale quando si presentò dopo l’elezione esordì con un «Je suis heureuse», io sono felice, scambiando però il maschile col femminile. Ecco, se arrivasse un altro italiano a quella carica, saremmo tutti felici.

 ??  ?? A Strasburgo Il discorso sullo stato dell’Unione tenuto il 14 settembre del 2016 dal presidente della Commission­e europea, Jean-Claude Juncker (gruppo Ppe), davanti ai deputati riuniti nella sede dell’Europarlam­ento a Strasburgo, in Francia (Reuters/...
A Strasburgo Il discorso sullo stato dell’Unione tenuto il 14 settembre del 2016 dal presidente della Commission­e europea, Jean-Claude Juncker (gruppo Ppe), davanti ai deputati riuniti nella sede dell’Europarlam­ento a Strasburgo, in Francia (Reuters/...

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