Corriere della Sera

L’ITALIA CHE SALVA I MIGRANTI IL MONDO CI VEDE COSÌ

- Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

Il film Fuocoammar­e candidato agli Oscar è una scommessa per l’Italia. Una sfida che il nostro Paese può vincere. E non soltanto conquistan­do la tanto ambita statuetta. Fuocoammar­e mostra la nostra immagine migliore, quella di chi aiuta gli altri, di chi soccorre gli stranieri, di chi pensa che i migranti abbiano diritto a cercare in Europa una nuova vita.

L’importante è che tutto questo non venga interpreta­to come un segno di debolezza nei confronti di chi invece fa la voce grossa e la faccia feroce. Una sottomissi­one rispetto a quegli Stati dell’Unione che hanno deciso di chiudere le frontiere e alzare i muri.

Lampedusa è un’isola che ha saputo reagire con forza — anche grazie al coraggio di un donna come la sindaca Giusy Nicolini — a una vera e propria invasione. Da anni ormai è l’approdo di migliaia di stranieri, ma anche il luogo dove altre migliaia hanno trovato la morte. Il simbolo di una frontiera che non si può chiudere perché intorno c’è soltanto il mare aperto.

L’Italia non può alzare i muri, non può sbarrare i confini. Siamo la porta dell’Europa e per questo è tutta l’Europa a dover affrontare quella che non può e non deve essere vissuta come un’emergenza continua. I flussi migratori vanno governati, non subiti. Bisogna pianificar­e gli interventi, impiegare risorse. E dunque non possiamo consentire che le associazio­ni e le organizzaz­ioni umanitarie che gestiscono l’accoglienz­a rimangano senza soldi.

Il governo deve stanziare i finanziame­nti e saldare subito i conti per non rischiare conseguenz­e peggiori come quella di abbandonar­e a sé stessi migliaia di profughi. Soltanto così sarà credibile quando chiederà nuovamente collaboraz­ione per realizzare il Migration Compact.

Perché come dice Pietro Bartolo, il medico diventato protagonis­ta di Fuocoammar­e «il mondo deve capire. Non voglio più contare i morti, curare corpi sofferenti. Bisogna andare a salvarli sulle coste africane. Fermare questi viaggi disperati».

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