Ecco il piano Mps per convertire i bond A metà novembre l’assemblea, entro il referendum l’operazione, poi l’aumento di capitale
Si comincia a delineare il percorso a tappe forzate che l’amministratore delegato di Mps, Marco Morelli, sta impostando con le banche advisor per realizzare la ricapitalizzazione da 5 miliardi di euro. La stretta sui tempi è dettata dalla volontà di portare a termine l’operazione entro l’anno, così da non accavallarsi con l’aumento di capitale di Unicredit ed eventualmente anche con quello di altri colossi europei.
Secondo fonti finanziarie a conoscenza del dossier, l’operazione dovrebbe avvenire in più fasi, secondo questo abbozzo di schema: dopo il piano industriale che sarà approvato il 24 ottobre verrà convocata l’assemblea, attorno a metà novembre. Subito dopo dovrebbe partire l’offerta di conversione volontaria dei bond in azioni rivolta ai possessori di obbligazioni subordinate, secondo un’impostazione già presente nel progetto varato dall’ex ceo Fabrizio Viola. Sicuramente l’offerta sarà indirizzata agli investitori istituzionali ma molto probabilmente riguarderà anche i piccoli risparmiatori, così da ampliare l’ammontare delle possibili adesioni. Mps ha emesso bond subordinati per circa 4,5 miliardi, di cui 2,16 collocati da Mps a circa 40 mila clienti retail, in scadenza nel 2018. È ancora in discussione il prezzo di conversione: secondo alcune ipotesi potrebbe essere sotto il valore nominale ma a premio rispetto alle quotazioni di mercato.
La finestra per la conversione dei bond dovrebbe durare due settimane così da concludersi a ridosso del referendum del 4 dicembre. «Qualche mese fa l’immagine delle cooperative è stata offuscata a causa del coinvolgimento di poche, ma per noi sempre troppe, cooperative in una inchiesta (“Mafia Capitale” ndr). Legacoop non si è nascosta davanti ai problemi, la nostra richiesta di essere parte civile è stata accolta e oggi registriamo segni di ripresa della fiducia degli italiani verso la cooperazione». Contemporaneamente le banche advisor Jp Morgan e Mediobanca — capofila anche del consorzio di pre-garanzia dell’aumento — continueranno a ricercare il fondo (o i fondi) interessati a prendere una quota di Mps, il cosiddetto «anchor investor» (investitore-àncora). Discussioni sarebbero in corso con fondi sovrani del Qatar e di altri Paesi asiatici, ma non solo. Si punta a raccogliere così tra 500 milioni e 1,5 miliardi.
Una volta che si sarà chiarito il quadro politico post-referendum, potrà partire l’aumento di capitale vero e proprio per l’ammontare Così il presidente di Legacoop, Mauro Lusetti (foto), presenta la «Biennale dell’Economia Cooperativa», organizzata a Bologna dal 7 al 9 ottobre, in occasione dei 130 anni della nascita della Lega delle Cooperative. Nel dettaglio, i dati mostrano come la cooperazione ha tenuto bene alla crisi registrando nel 2015 chiari segnali di ripresa: infatti il fatturato è aumentato del 4% rispetto al 2014, mentre occupati e soci crescono del 2,5%, in linea con quanto avvenuto negli residuo non coperto dai bond convertiti e dall’anchor investor. A causa delle condizioni attuali del mercato, con il titolo Mps a 0,20 euro (ieri in recupero del 1,6%) e una capitalizzazione di 570 milioni, non ci sarebbe tuttavia spazio per concedere il diritto di opzione agli attuali soci, per assenza di un valore effettivo del diritto stesso. Per venire incontro a chi volesse comunque seguire l’aumento Mps, si starebbe valutando la concessione di un diritto di prelazione ai soci. ultimi tre anni. Durante lo scandalo di «Mafia Capitale» la fiducia degli italiani verso il sistema coop era sceso sotto il 40%, ma «ora - aggiunge Lusetti - abbiamo recuperato e siamo ritornati sopra il 50% (mentre verso le imprese private è del 40) anche perché abbiamo adottato non solo un codice etico, ma abbiamo applicato il ricambio dei dirigenti». Miliardi di euro Il capitale che Mps dovrà recuperare per coprire le perdite dalla cessione di tutti i 27,7 miliardi lordi di crediti in sofferenza attraverso una gigantesca cartolarizzazione La Corte d’appello di Napoli ha ritenuto illegittimo il licenziamento di cinque operai dello stabilimento Fca di Pomigliano d’Arco, in provincia di Napoli, e ne ha disposto il reintegro in azienda. I cinque operai erano stati licenziati nel giugno del 2014 in seguito a una manifestazione davanti al polo logistico di Nola ritenuta offensiva dai vertici aziendali. Vengono così ribaltate le prime due sentenze emesse dal tribunale di Nola, che aveva rigettato il ricorso delle tute blu contro il massimo provvedimento aziendale. I legali di Fca starebbero valutando l’opportunità di ricorrere in Cassazione contro la sentenza.