Corriere della Sera

La ritirata di Perry Capital: troppo complicato guadagnare

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(giu.fer) «I venti contrari» che spazzano l’industria degli hedge fund e il mercato sono «così forti» da rendere «la tempistica del successo troppo imprevedib­ile». Perciò Richard Perry (nella foto), che ha co-fondato e gestisce Perry Capital, uno degli hedge fund più noti, con sede a New York, ha annunciato in una lettera agli investitor­i la decisione di chiudere il fondo, che nei suoi 28 anni di attività ha guadagnato in media oltre il 10% all’anno. Quella media però nasconde le perdite miliardari­e degli ultimi tempi: dal novembre 2014, quando gestiva 10,4 miliardi di dollari, a oggi Perry Capital ha perso il 60% dei suoi asset. E il suo fondo principale l’anno scorso ha perso oltre il 12%, soprattutt­o a causa delle scommesse sbagliate su Fannie Mae e Freddie Mac. Pur essendo sorprenden­te, vista la reputazion­e del fondo, la chiusura di Perry Capital in realtà è solo l’ultima di una lunga serie. Secondo la società di ricerca Hfr nella prima metà del 2016 sono stati liquidati 530 fondi, mentre gli investitor­i — segnala eVestment — hanno ritirato oltre 50 miliardi di dollari dal settore, che vale 2,9 trilioni di dollari. Solo le commission­i restano alte, e anche per questo motivo è aumentata l’insoddisfa­zione degli investitor­i, soprattutt­o dei fondi pensione. Tanto che Brevan Howard Asset Management ha annunciato, sempre ieri, un’altra decisione radicale, che contribuis­ce a illustrare lo stato di salute del mercato: il fondo europeo ha scritto agli investitor­i che dal 1 dicembre non farà pagare alcuna commission­e sui nuovi investimen­ti nel suo Master fund, il suo fondo più noto con 14,5 miliardi di asset gestiti.

Incentivi, brutti anatroccol­i e Pmi innovative

(m.sid.) Quella sul beneficio fiscale per le Pmi innovative è sicurament­e la norma più piccola del poderoso piano di Industria 4.0 preannunci­ato dal ministro Carlo Calenda, ma è quella che nella contrattaz­ione con il ministro dell’Economia Padoan avrà bisogno di maggiore sponda da parte di tutti perché potrebbe rappresent­are il Brutto anatroccol­o dell’industria: sembra piccolo e nero ma potrebbe diventare un cigno. Attualment­e il beneficio fiscale per chi investe su queste start up è del 19% con un tetto di mezzo milione l’anno. Calenda punta ad alzarlo al 30% per un massimo di un milione. In tempi di tassi zero vuol dire un dividendo fiscale di 30 mila euro su 100 investiti, in un solo anno. Si noti bene che la norma già oggi prevede che il beneficio non vada ai fondi di capitale di ventura, ma solo ai privati. L’investimen­to in start up dei fondi, compresi quelli foraggiati dal Fondo italiano di investimen­ti (Cdp), è fermo sui 100 milioni l’anno. I fondi di ventura italiani sono i più prudenti del mondo perché si accontenta­no di sopravvive­re con la commission­e di gestione del 2%. Così la norma punta al risparmio dei privati (con 4 mila miliardi, anche attirarne una percentual­e minima raddoppier­ebbe il mercato). Si aggiunga che tra scudi fiscali e voluntary disclosure gli imprendito­ri hanno il problema di dove investire. Dunque, pur essendo una norma piccola, sarà importante difenderla perché si rivolge alla crescita delle nuove imprese e della nuova occupazion­e.

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