Corriere della Sera

Le amnesie delle sindache

- Di Dario Di Vico

Dall’alto dei loro recenti e indiscutib­ili successi elettorali le due sindache del Movimento 5 Stelle ieri hanno detto pubblicame­nte la loro sulle quote di genere. E le hanno inesorabil­mente bocciate. Virginia Raggi, più radicale anche in questa circostanz­a, ne ha parlato come di un «recinto» nel quale il legislator­e ha voluto confinare le donne per discrimina­rle e offenderle. Chiara Appendino è stata più cauta e in sintesi ha sostenuto che i cittadini votandola hanno dimostrato di essere più evoluti di norme top down che invece assegnano cariche alle donne saltando il merito (nell’economia) e il consenso (in politica).

Il dibattito sulle quote di genere dura — si può dire ininterrot­tamente — da circa 10 anni e ha prodotto divisioni sia dentro le élite economiche sia nella società politica e di conseguenz­a il giudizio delle due sindache si aggiunge a un menù di opinioni già di per sé articolato. Detto questo però non convince assolutame­nte la tesi di una contraddiz­ione «struttural­e» tra misure forzose di apertura nella selezione delle élite e il successo di outsider della politica come sono Raggi e Appendino. Tutt’altro. Le quote di genere sono servite a far saltare un chiavistel­lo e creare nella realtà quotidiana un numero consistent­e di buone pratiche. La società italiana non si stava aprendo al pari delle consorelle europee e il legislator­e ha trovato giusto inserire norme che accelerass­ero la discontinu­ità.

Tutto si può dire tranne dunque che le quote di genere fossero «contro» le donne oppure che non abbiano avuto successo. Laddove si applicano direttamen­te, ovvero nella composizio­ne dei consigli di amministra­zione, i dati parlano almeno di un raddoppio della presenza femminile che non risulta abbia compromess­o l’efficienza di quegli organismi, anzi.

In politica abbiamo conosciuto nelle ultime elezioni politiche un massiccio ingresso di donne soprattutt­o nei gruppi parlamenta­ri del Pd e dei Cinque Stelle che non sono figlie in toto dei meccanismi (un po’ astrusi) delle doppie preferenze ma che comunque sono espression­e del combinato disposto tra nuove norme e mutamento sociale di questi anni. Gli ultimi a dolersi quindi delle quote di genere dovrebbero essere gli esponenti di Cinque Stelle. E comunque il dibattito — anche da parte loro — dovrebbe essere aggiornato, superare gli schemi di un tempo e individuar­e i nuovi termini della questione. Persino in facoltà tradiziona­lmente maschili come ingegneria c’è stata un’avanzata delle iscrizioni e delle lauree femminili, ma poi quando dal titolo di studio si passa al posto di lavoro si ripresenta­no nuove esclusioni? È solo una domanda (e un esempio), se però fossimo Raggi e/o Appendino ci penseremmo due volte a dire che l’agenda rosa è retrò.

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