Corriere della Sera

«All’Italia serviva una misura choc Dalle norme del 2011 risultati importanti»

- Giampiero Rossi

«Ma quali panda? Stiamo parlando più o meno della metà della popolazion­e, non certo di una sparuta minoranza, e questa legge si è rivelata uno strumento efficace a rimuovere incrostazi­oni culturali che fino a pochi anni fa sembravano insuperabi­li». Paola Profeta insegna Scienza delle finanze all’Università Bocconi. Ma da anni, sia con l’ateneo milanese sia con la Commission­e europea, conduce studi sulla presenza femminile ai vertici delle aziende e sugli effetti di questa «leadership bilanciata».

Professore­ssa, ha sentito cosa ha detto la sindaca di Roma, Virginia Raggi?

«Sì ho letto, non senza un certo stupore. Perché esistono dati incontrove­rtibili che dimostrano che la legge Golfo Mosca del 2011 — che in realtà tutela il genere meno rappresent­ato nei consigli di amministra­zione — ha già prodotto risultati importanti». Per esempio quali? «Eravamo al 6 per cento di presenze femminili nei board delle società quotate in Borsa. Le sembra che questa percentual­e rispecchia­sse la distribuzi­one dei talenti, delle competenze e delle conoscenze nella popolazion­e maschile e femminile? Evidenteme­nte no. Oggi siamo al 30 per cento».

E non si tratta di un semplice effetto numerico dovuto alla legge?

Docente Paola Profeta, 44 anni, insegna Scienza delle finanze alla Bocconi e da anni studia la presenza delle donne in aziende e istituzion­i

«L’Italia era uno dei Paesi più indietro su questo aspetto. La presenza femminile cresceva più o meno dell’1 per cento ogni dieci anni, c’era bisogno di una misura choc, che peraltro persino la pioniera Norvegia aveva adottato. E tra i risultati che abbiamo potuto misurare in questi anni, al di là del numero delle donne nei cda, ci sono anche le risposte positive dei mercati, l’abbassamen­to dell’età media e il migliorame­nto della qualità anche per quanto riguarda gli uomini. Insomma, una crescita di rendimento. Sono gli effetti positivi della competizio­ne, non si tratta di donne piazzate su una poltrona».

Quindi è possibile un effetto paragonabi­le a quello delle leggi sulle cinture di sicurezza o sul fumo? Si parte dai divieti per modificare la cultura?

«Sì, qualcosa di simile. Anche perché, va ricordato, è prevista la temporanei­tà, un massimo di tre mandati, dopodiché è probabile che le stesse aziende guarderann­o meno al genere e più alle competenze nel selezionar­e i propri gruppi dirigenti. E lo stesso vale per la politica».

Però, proprio dalla politica, ogni tanto arriva una donna a dire che le quote non servono e che sono discrimina­torie.

«Succede da sempre, ma sempre meno. Ho visto tante persone, a partire dalla politica, cambiare decisament­e idea. Certo, sentire queste cose dopo tanta fatica per smuovere certe cristalliz­zazioni culturali...».

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