«Personaggio consapevole di aver avuto anche artigli»
«Forse ciò che l’Occidente dovrebbe fare rispetto al Medio Oriente è semplicemente voltarsi dall’altra parte. Lasciare che risolvano i loro problemi da soli. Ma non possiamo. Perché abbiamo educato le nostre opinioni pubbliche a pensare che noi siamo i buoni e che le democrazie hanno il diritto-dovere di esportare se stesse. Non è così». Naturalmente è solo un caso che la conferenza tenuta ieri a Milano da Sergio Romano, ambasciatore e conoscitore di politica estera come pochi altri al mondo, sia arrivata nelle stesse ore in cui il mondo commentava la scomparsa di Shimon Peres: uomo di dialogo ma anche «uomo consapevole di aver avuto artigli — dice Romano ricordandolo — che solo la stanchezza degli ultimi anni gli aveva smussato». E proprio su questo punto, il dialogo, in due ore durante le quali ha più volte sottolineato le «responsabilità storiche, sociali, economiche e militari dell’Occidente nell’aver fomentato il radicalismo antioccidentale di oggi», Romano torna per dire quanto la politica estera abbia bisogno di testa e non di pancia: «La politica estera non si fa con i valori morali, chi lo dice mente. Si fa nell’interesse del Paese. Ciò che mi ha scioccato del caso Regeni, per esempio, è che l’Italia abbia delegato la sua politica estera all’opinione pubblica. Voglio dire, giusto protestare. Ma ritirare l’ambasciatore dall’Egitto è stata una sciocchezza». Lo stesso realismo con cui commenta una ipotetica vittoria di Trump: «Di quel che farebbe all’interno non m’importa. Ma con lui l’Europa avrebbe una possibilità: svezzarsi finalmente dagli Usa».