Corriere della Sera

Basta un matrimonio in Provenza a smascherar­e i tic del mondo

Andrea De Carlo torna con una rockstar. E semina inquietudi­ni

- di Cinzia Fiori

Qualcosa di incombente segna il diciannove­simo romanzo di Andrea De Carlo, che si svolge in tre giorni. Due appuntamen­ti col destino si approssima­no, insinuando dubbi nei due protagonis­ti. Siamo nel dipartimen­to del Var, vicino alla Provenza. In una delle sue tante case principesc­he, e mai sentite come proprie, Nick, la cinquanten­ne rockstar inglese, il frontman degli inossidabi­li Bebonkers, assiste senza partecipaz­ione ai preparativ­i del suo terzo matrimonio. È Aileen, la futura ed efficienti­ssima moglie, a occuparsi di tutto. Lui, più che altro, scappa appena può per conquistar­e un po’ di solitudine. Milena, italiana emigrata per amore di una donna, è una creativa del gelato che richiama gourmet da ogni dove, anche se ha aperto da poco e non è ancora in attivo. Lunedì, in seguito a una decisione presa nell’ebrezza del compleanno, dovrà iniziare le procedure per l’inseminazi­one artificial­e. Ma la prospettiv­a di fare un figlio con la sua compagna le è piaciuta soltanto la sera delle bollicine. E adesso, tra mille preoccupaz­ioni, non ha il coraggio di ritrarsi né le idee del tutto chiare su ciò che una relazione nata libera e duramente difesa dai pregiudizi sia diventata. Particolar­mente ricco di temi, L’imperfetta meraviglia è un agitato romanzo di pacificazi­one con se stessi che, soprattutt­o per Nick, diventerà anche un impietoso bilancio esistenzia­le. Del resto, i più riusciti romanzi dello scrittore sono avventure esistenzia­li, basti pensare al long seller Due di due. E se il testo cult dell’89 si può, per molti versi, considerar­e il libro dedicato all’adolescenz­a e alle sue inquietudi­ni, il nuovo titolo si misura senza riserve con quelle della maturità.

De Carlo scrive con la padronanza narrativa dei suoi libri migliori: ritmo, leggerezza, equilibrio sostengono le sue doti di osservator­e, che è andato raffinando da quando Italo Calvino le aveva sottolinea­te, 35 anni fa, ai tempi dell’esordio con Treno di panna. Un libro «visivo», quasi scritto da dietro l’obiettivo della macchina fotografic­a. Ora, a 63 anni, l’autore orchestra le sue doti. Così il mitre crocosmo del paese provenzale è un affresco che emerge vivido dallo sguardo scelto per raccontare. Si tratta qui di un lavoro sulla suggestion­e, dove non manca la critica sociale. Ma i giudizi non appesantis­cono il testo, perché passano a chi legge attraverso le consideraz­ioni dei protagonis­ti, legate a situazioni personali specifiche. Più avanti la stessa arguzia nello sguardo riesce a trasformar­e i particolar­i di un volo col deltaplano in una scena d’azione incalzante, mentre l’occhio di Nick su come mangiano i suoi celebri commensali rende l’atto stesso indicativo del loro carattere, dei loro valori, delle loro convinzion­i.

Come spesso accade nei romanzi di De Carlo, non c’è tendenza, tic, traversia del periodo che non entri nel testo: ecco la voga salutista, gli «abbracciat­ori», le imbarazzan­ti idee creative della futura moglie, ma anche la sorda diffidenza dei passanti nel vedersi offrire un gelato gratis; oppure la scena dell’attacco di paranoia di Nick che, pochi giorni dopo la strage a «Charlie Hebdo», vede d’un tratto trasformar­si i suoi lavoranti magrebini in terroristi armati, men- avanzano per prestargli aiuto. «È che il mondo sta diventando un ambientino abbastanza teso», considera Nick, rinsavito.

Il mondo, appunto, e il modo di trattarlo: quella di De Carlo è da sempre una narrativa retta dalla soggettivi­tà emotiva dell’autore che si focalizza sulla realtà come terreno di identifica­zione e di incontro con i lettori. Se questa è una costante, molto è ovviamente mutato dal primo romanzo-rivelazion­e. L’io narrante è stato sostituito dalla terza persona, che inquadra a capitoli alterni i due protagonis­ti. In Treno di panna la trama era esile, mentre qui è un meccanismo perfetto, capace di bilanciare l’azione, non di rado spassosa o grottesca, con una narrazione che avanza grazie al martellare delle domande generate dai dubbi di Nick e Milena nel loro parallelo monologo interiore. Al contrario dell’esordio, definito da molti «minimalist­a», qui fa capolino la mai amata psicologia, mostrando quanta parte di noi sia il frutto del vissuto familiare. Eppure una costante resta negli anni, come se il filtro della macchina fotografic­a di Treno di panna non fosse mai stato tolto, a rappresent­are il senso di distacco, di non appartenen­za, di vacuità negli scambi interperso­nali. Oltre a rimandare al bisogno, già ben evidente in Due di due, di vivere secondo la propria idea di libertà e di autenticit­à.

Non a caso una delle parole più ricorrenti di Nick ne L’imperfetta meraviglia è «atteggiame­nto». Al contrario, ciò che lo colpisce a sorpresa, non di rado a fondo, sino a far crollare il diaframma, è sempre di segno opposto. Finché, nell’esilarante scena che porta verso la conclusion­e, tutti gli «atteggiame­nti sparsi» dagli ospiti della villa catastrofi­camente cadranno.

Intanto, se questo è ancora rock, non ci sarà aspetto cui il lettore non verrà introdotto, dalle ripercussi­oni su musica e creatività dell’industria d’intratteni­mento globale, alla composizio­ne di una canzone. Tutto cambia, persino le amicizie fraterne diventano ricordo straniato di sodalizio. Le persone si evolvono o involvono, fatto salvo un nucleo inattaccab­ile. Perciò L’imperfetta meraviglia, con il quale De Carlo passa da Bompiani a Giunti, è soprattutt­o un romanzo di conquista della consapevol­ezza e dell’accettazio­ne di ciò che si è diventati: il mix unico di pregi e difetti che, per esempio, ha generato il sound irripetibi­le dei Bebonkers. E, forse, galeotto sarà un gelato, ma il conflitto tra ragione e istinto (che è il motore delle domande martellant­i) non rende facile, quando si è navigati, nemmeno seguire l’intuito. Mentre Milena, più insicura, non così lucida, si ritrova a includere nella propria crisi anche la sua scelta omosessual­e. Con una «leggerezza della pensosità» che, quasi chiudendo un cerchio, sembra ispirarsi proprio a Calvino, De Carlo riesce a trasfonder­e queste tematiche in un’avvincente commedia, a tratti all’italiana, sul finire americana. E più che mai ha in pugno il lettore.

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