Corriere della Sera

I passi falsi (e il tramonto) della sinistra in Europa

Dopo un passato in cui la convinzion­e prevalente era di possedere la migliore ricetta economica, la socialdemo­crazia vede il suo peso elettorale in caduta libera. La domanda è questa: saprà risalire la china o rischia una lunga traversata del deserto non

- Di Paolo Valentino

C’è stato un tempo nel quale si poteva viaggiare da Nord a Sud in Europa senza passare per un Paese governato dalla destra. C’è stato un tempo nel quale la sinistra, protetta dal caldo igloo della Guerra fredda, anche quando non era al potere aveva l’egemonia culturale. Suo era il marchio di fabbrica della politica europea, la convinzion­e prevalente di possedere la migliore ricetta economica, quella che combinava Stato e mercato, ridistribu­endo risorse e riducendo la forbice delle disuguagli­anze.

Verso la fine degli Anni 90, c’è stato anche un tempo nel quale la sinistra in Europa sembrò in grado di rinnovarsi rimanendo fedele a se stessa. Sotto la spinta di leader come Tony Blair, Gerhard Schroeder, lo stesso Romano Prodi, le forze progressis­te tornarono vincenti indicando una nuova strada, la suggestion­e della Terza Via o della Neue Mitte, il nuovo centro che prometteva di correggere gli eccessi statalisti del passato, conciliand­o merito e bisogno, sicurezza e democrazia, protezione sociale e bilanci sani. Vent’anni dopo, come in un romanzo di Dumas, i moschettie­ri della sinistra europea siedono sopra un paesaggio di macerie. Che siano o no al governo, il loro peso elettorale è in caduta libera, gli elettori tradiziona­li (lavoratori, intellettu­ali, popolo del volontaria­to) in fuga, vulcanizza­ti nell’astensioni­smo o attratti dalle sirene di alternativ­e estreme o anti-sistema, sia a sinistra che a destra. In Spagna, la guerra civile impazza nel Psoe. Il giovane Pedro Sanchez ha portato il partito di Felipe Gonzalez al peggior risultato di sempre e ora fronteggia una rivolta dei colonnelli, che lo vorrebbero spingere a una grande coalizione centrista con i popolari, mentre la base invoca la svolta radicale e l’intesa con Podemos. In Gran Bretagna, l’establishm­ent laburista barcolla ascoltando le note di Bandiera Rossa, che hanno accompagna­to la rielezione al vertice del partito di Jeremy Corbyn, profeta di un socialismo del XXI secolo, neostatali­sta, no-global, pacifista e protezioni­sta. I sondaggi predicono che sotto la sua guida, il Labour Party che fu di Attlee, Blair e Brown rischia una quasi estinzione.

In Francia, François Hollande ha soprattutt­o mantenuto le promesse degli altri, scegliendo di proseguire sul solco dei governi di centrodest­ra, in cambio di uno strapuntin­o al sole al fianco di Angela Merkel. Si ritrova con la più bassa popolarità di un presidente francese da quando esistono i sondaggi e una schiera di sfidanti alla sua sinistra che gli contendono la candidatur­a socialista. La socialdemo­crazia tedesca è l’ombra di se stessa, in crisi di leadership, contenuti, consensi. Cadetta nella Grosse Koalition, la Spd si è vista sottrarre davanti agli occhi la sua piattaform­a elettorale, divenuta quella della signora Merkel, dall’uscita dal nucleare ai migranti, al salario minimo. E se è vero

che Gesù è morto e Karl Marx è morto, neppure Matteo Renzi si sente (politicame­nte) troppo bene. L’unico leader di sinistra di un grande Paese europeo fin qui vincente, si prepara ad affrontare il Capo di Buona Speranza del referendum costituzio­nale, con un partito diviso e contro una surreale coalizione, dove politica e antipoliti­ca si danno la mano nel fargli la guerra. Ma la crisi della sinistra europea non è solo la sommatoria di casi nazionali (potremmo aggiungere Grecia, Olanda, Austria). È una crisi identitari­a, prodotta da quella che l’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer definisce «l’incapacità di trovare una ricetta economica veramente nuova, nelle condizioni diverse imposte dalla globalizza­zione e dalle migrazioni internazio­nali». La sinistra di governo in Europa ha fatto promesse che non poteva mantenere. Non ha impedito l’aumento delle disparità sociali. Ha sottovalut­ato, per cattiva coscienza ideologica, l’impatto dell’immigrazio­ne sulle classi popolari, che si vedono vittime incomprese. E ha indicato nell’Europa un progetto protettore che non è percepito come tale, subendo in pieno il riflusso violento dei nazionalis­mi. L’esito è devastante: la disconness­ione dalla propria base elettorale tradiziona­le, la trasformaz­ione dei partiti di sinistra in partiti d’élite. Impossibil­e oggi rispondere alla domanda se la sinistra in Europa saprà risalire la china o se rischia una lunga traversata del deserto, non necessaria­mente a lieto fine. Ha ragione chi definisce ormai prive di senso le etichette destra-sinistra, di fronte al riallineam­ento politico che mette gli uni contro gli altri i vincenti e i perdenti della globalizza­zione? O di fronte al cambio di paradigma, è necessaria una rivoluzion­e intellettu­ale che ripensi in primo luogo la qualità del ruolo pubblico, nazionale o sovranazio­nale, vero alfa e omega di ogni ricetta progressis­ta? «È una delle leggi fondamenta­li della Storia — chiudeva Stefan Zweig, Il Mondo di Ieri — che essa impedisca ai contempora­nei di discernere i grandi movimenti che determinan­o la loro epoca».

François Hollande ha soprattutt­o mantenuto le promesse degli altri, scegliendo di proseguire sul solco dei governi di centrodest­ra

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy