Corriere della Sera

NELLA CAMPAGNA ANTI PREMIER TORNA IL PARTITO DELLA NAZIONE

- Di Massimo Franco

Gli ottant’anni di Silvio Berlusconi stanno diventando l’ennesima occasione per un tiro al bersaglio contro Matteo Renzi. Nella minoranza del Pd, l’accostamen­to tra il fondatore di Forza Italia e l’attuale premier è quasi automatico. E il paradosso è che nell’analisi dei due personaggi, gli stessi Dem tendono a rivalutare il loro avversario di sempre; e in parallelo sono tentati di demonizzar­e proprio il capo del governo e segretario del loro stesso partito.

La battuta di Renzi su un referendum istituzion­ale che «si vince a destra», è stata accolta dagli oppositori interni come la conferma di uno «snaturamen­to» della sinistra. Ha risuscitat­o l’idea di un «partito della Nazione» con l’appoggio parlamenta­re di Denis Verdini e con i consensi di pezzi dell’elettorato in fuga da FI: un sospetto rinato soprattutt­o dopo il sì verdiniano alla mozione governativ­a su una modifica dell’Italicum. È uno degli effetti distorti di una campagna che si gioca non solo sul filo dell’incertezza, ma della resa dei conti nel Pd.

L’ex premier Massimo D’Alema sostiene che «il berlusconi­smo continua con Renzi»; e invece, adesso dà atto a Berlusconi di essere diventato «un politico di razza». Quanto all’ex segretario Pierluigi Bersani, ironizza sul premier al quale ha sentito dire che «per lui le uniche bandiere rosse sono quelle della Ferrari». Se a questo si aggiungono le critiche per avere trasformat­o il referendum «in un giudizio di Dio: errore clamoroso», e la volontà di votare No, lo scontro è totale. Perfino sul M5S le analisi divergono. I renziani continuano a martellare contro la sindaca di Roma, Virginia Raggi. Bersani chiede di darle tempo e, se è necessario, anche una mano.

L’impression­e è che gli oppositori interni

L’obiettivo

Nel Pd gli oppositori interni sembrano puntare sulla sconfitta delle riforme per avere un governo meno ostile al Movimento di Grillo puntino sulla sconfitta delle riforme e su un governo meno ostile al movimento di Beppe Grillo. Palazzo Chigi descrive una manovra «con un obiettivo nobile: buttare giù il governo», dice Renzi al Foglio. «Chi guida la coalizione del No al referendum lo fa perché è interessat­o solo alla mia persona. Sono loro che personaliz­zano, non io». Il tentativo è di rovesciare l’impostazio­ne iniziale data alla campagna referendar­ia; e che adesso cerca di correggere in corsa, avvertendo­ne i rischi.

Il passaggio interessan­te, tuttavia, è quello in cui Renzi accenna alle elezioni politiche, rinviando la sfida a quell’appuntamen­to; e appellando­si «all’elettore di destra», perché «quei voti saranno decisivi». Lo schema tende a dare per scontato il Sì di «larghissim­a parte della sinistra». Se anche la destra si decide a votare «sul merito», dice, il gioco è fatto. Scorrendo le parole della minoranza del Pd, e il No di M5S, Lega e FI, però, l’analisi convince solo in parte. Anche perché i contenuti del referendum stanno evaporando in una nuvola di tensione sempre più tossica.

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