Call center, infermieri: niente tagli Lavori gravosi, via prima di 41 anni
Il governo apre all’ottavo tentativo di salvaguardia per dare una soluzione al problema nato con la legge Fornero
Ci sono i muratori e gli infermieri delle sale operatorie e dei pronto soccorso. Ci dovrebbero essere le maestre d’asilo e forse delle elementari. Ma poi, ad affollare la sala d’attesa della riforma delle pensioni, con l’obiettivo di essere considerati «addetti ad attività gravose», ci sono anche i macchinisti dei treni, i facchini, i conciatori di pelli, i marittimi. E pure i centralinisti dei call center, lavoro «giovane» che di pensionati non ne ha ancora ma prima o poi arriveranno anche loro.
L’accordo sulla previdenza fra governo e sindacati ha ancora una casella da riempire. È la definizione, mestiere per mestiere, delle «attività gravose». Non è una questione burocratica. Chi rientrerà in questa categoria avrà più vantaggi dalla riforma in arrivo il pros- simo anno. Gli addetti alle attività gravose, ad esempio, avranno diritto all’Ape gratuito, cioè l’uscita anticipata senza tagli sull’assegno. Oppure, se hanno cominciato a lavorare da giovanissimi, potranno andar via con 41 anni di contributi, quasi due in meno rispetto agli altri. Non sono dettagli. A decidere chi è dentro e chi è fuori, chi è «gravoso» e chi no, saranno governo e sindacati. E i sindacati premono per inserire nell’elenco il maggior numero possibile di attività. In particolare quella nei call center, anche per dare un segnale di attenzione ai giovani, visto che nel pacchetto previdenziale per loro non c’è molto.
Ma il pressing, come sempre, è un arma a doppio taglio. I soldi a disposizione per il pacchetto sono fissi: 6 miliardi in tre anni. Allargare le maglie delle attività gravose e far salire più persone sul treno della riforma significa per forza di cose rendere meno «generose» le misure previste. Altrimenti i soldi non bastano. In
particolare potrebbe scendere il tetto di reddito per avere diritto all’uscita anticipata senza tagli sull’assegno.
Ma il governo, in chiave referendum, vuole evitare lo scontro. Anche sul fronte degli esodati, i lavoratori che rischiano di rimanere senza stipendio e pensione. Ieri il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini ha aperto a un nuovo intervento, l’ottavo, per consentire loro di andare in pensione con le vecchie regole. «Salvaguardando altre 25 mila persone — dice Cesare Damiano (Pd), che sul tema si è battuto fin dall’inizio — avremmo comunque un residuo di un miliardo sui fondi già stanziati. Non ci sono ragioni per non farlo».
comporta bene al lavoro e ha un salario di 1.600 euro al mese è meno meritevole di uno che lavora poco, prende 1.200 euro e sarà il primo a essere cacciato? E allora che fare? Considerato che Ape costa, come pure il part time, la soluzione sta nei fondi di solidarietà che hanno funzionato bene per i bancari (oltre 60 mila esuberi a costo zero per lo Stato). Basta utilizzare lo 0,30% che tutte le aziende versano (oltre 1 miliardo l’anno) e impiegarlo per i prossimi 5 anni per finanziare la «flessibilità in uscita grave»; cioè esodati o disoccupati di lungo corso, precoci e persone con gravi problemi di salute o con in famiglia portatori di handicap o non autosufficienti. Questa è la soluzione più trasparente e a costo zero poiché il pareggio di bilancio del fondo esuberi è a carico delle aziende che ne beneficiano. Quanto alla decontribuzione ribadiamo che è la maniera più subdola per fare debito pubblico occulto e per fare cattiva educazione civica ai cittadini. Se proprio si vuole ridurre il «cuneo» si riduca l’Ires, l’Irap e si dia credito d’imposta per ogni assunzione oltre a semplificare la vita agli imprenditori che passano la metà del tempo a dar retta allo Stato burocratico. * Presidente Centro Studi
Itinerari Previdenziali