Corriere della Sera

La vicenda

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Un uomo con una tuta arancione. È in ginocchio. Sta per essere giustiziat­o. Il «solito» video del terrore? Sbagliato. È la scena finale di «Seven» dove Kevin Spacey aspetta con il sorriso beffardo che Brad Pitt gli spari: così si chiude il suo piano, era quello che voleva, l’ultimo capitolo (l’Ira) della catena di delitti ispirati ai vizi capitali.

In Occidente è stata solo una scena di un thriller, per certo Oriente una fonte di ispirazion­e, una messa in scena — scioccante e a effetto allo stesso tempo — per impression­are il pubblico.

«Terror Studios: la propaganda dell’Isis» è il documentar­io firmato dal regista francese Alexis Marant che verrà trasmesso sul canale Nove domenica 2 ottobre alle 21.15 con un commento di Roberto Saviano.

L’Isis è considerat­o il gruppo terroristi­co che meglio ha saputo sfruttare i mezzi di comunicazi­one e le piattaform­e per fare propaganda

Si calcola che il Califfato abbia a disposizio­ne almeno 70 «divisioni media» e diverse case di produzione che elaborano i contenuti video, immagini, audio, gif e pdf. I materiali vengono prima caricati sul dark web, poi diffusi sui social

Di recente il numero dei prodotti di propaganda è diminuito, in seguito alle difficoltà militari del gruppo terroristi­co

A contribuir­e alla «crisi» mediatica dell’Isis anche la morte del portavoce del Califfato, Al Adnani, ucciso in un raid Usa alla fine di agosto. Anche il «ministro delle comunicazi­oni» dell’Isis sarebbe morto ma incolonnat­i come soldati in attesa, dall’altra i foreign fighters in assetto di guerra ma in fila allo stesso modo. Se da una parte la prova a cui sono sottoposti con rito marziale è cogliere un cocco, dall’altra è tagliare la gola a un infedele, con i coltelli che vengono ripresi in slow motion come succede nel reality per enfatizzar­e il momento clou.

Ma anche i videogioch­i sono un punto di riferiment­o con le immagini in go pro come se ci trovassimo a giocare a «Call of Duty» oppure con plagi evidenti di «Assassin’s Creed» e «Grand Theft Auto».

Più di 40 media locali, oltre 1.000 contenuti ogni mese, cinque case di produzione, quasi 50 mila account Twitter. Sono solo alcuni dei numeri della macchina di propaganda dell’Isis.

Una comunicazi­one articolata e «accattivan­te», simile al palinsesto di una rete televisiva generalist­a che si diffonde capillarme­nte attraverso il web.

Scene di battaglia, esplosioni, esecuzioni e decapitazi­oni riproducon­o quasi fedelmente la nostra memoria collettiva hollywoodi­ana in un’escalation dove nulla è lasciato al caso: sceneggiat­ura, inquadratu­re, interpreta­zioni, audio e grafiche.

È un immaginari­o eroico e avventuros­o, un vero e proprio storytelli­ng dell’orrore per raggiunger­e il massimo impatto e che i media occidental­i amplifican­o loro malgrado, perché succede che quello che è nato ad Hollywood lì ritorna.

Basta guardare «House of Cards».

In una scena della quinta stagione si parla di lotta al terrorismo e il presidente americano Kevin Spacey è costretto a guardare un’esecuzione: un uomo con la tuta arancione, in ginocchio, sta per essere giustiziat­o.

Prima la fiction che diventa realtà, quindi la realtà che torna a essere nuovamente fiction.

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