Corriere della Sera

«A scuola calci, sputi e insulti» Il diario di Emilie, suicida per i bulli

Francia, la famiglia pubblica le parole della figlia 17enne: volevano togliermi ogni gioia

- Greta Sclaunich

«Avevo deciso di non dire nulla, se fossero venuti dal preside sarebbe stato peggio»

Le toilette sono il solo angolo di questa maledetta scuola dove sono sicura di stare tranquilla Purtroppo dura sempre troppo poco

Il momento che odiavo di più: mezzogiorn­o Salivo al 4° piano, dove non c’era mai nessuno. Mi dicevo: metà giornata è passata

Mi permettevo di piangere solo 3 volte al giorno: al mattino prima di andare a scuola, la sera rientrando, la notte nel mio letto

Emilie aveva 17 anni, viveva a Lille, amava gli animali e la lettura. Era la prima della classe, ma anche il bersaglio dei suoi compagni alla scuola privata Notre-Dame de la Paix. Anni d’inferno che l’hanno distrutta: né l’iscrizione in un altro istituto né gli psicologi hanno guarito la depression­e. È arrivata a pesare 42 chili, è finita in ospedale. A dicembre, Emilie ha tentato il suicidio gettandosi dalla finestra, il mese dopo è morta. I genitori, Yann e Virginie, hanno denunciato la scuola e pubblicato sul quotidiano «La Voix du Nord» il suo diario segreto, scritto sul pc. Le toilette

Le toilette sono il solo angolo di questa maledetta scuola dove sono sicura di stare tranquilla. Riuscire a risparmiar­mi un quarto d’ora di supplizio rende la mia giornata meno insopporta­bile. Purtroppo, questo momento di pace dura sempre troppo poco.

Il cortile

Mi sentivo addosso gli sguardi degli altri. Vedevo i loro sorrisetti quando mi fissavano, sentivo che guardavano le mie scarpe da ginnastica vecchie, i miei jeans sfilacciat­i, il mio maglione con il collo alto e il mio zainetto. Ho sentito qualcuno chiamarmi «barbona». Dieci metri di cortile, 156 gradini e un corridoio ci separavano dalla classe. Questo per me era come il percorso del combattent­e. Schivare i colpi, i calci, gli sputi. Chiudere le orecchie per non sentire gli insulti e le prese in giro. Controllar­e il mio zaino e i capelli. Trattenere le lacrime. Ancora e ancora. Durante questi minuti infiniti.

La classe

Mi sono seduta, davanti a sinistra, sola, con un perimetro di sedie vuote intorno a separarmi dagli altri. «Ehi, la sai la novità?» ridacchia un ragazzo abbastanza forte perché tutta la classe lo senta tranne la prof «pare che diano un premio ai secchioni più brutti del Paese». «Davvero?» risponde il suo compagno di banco «scommetto che abbiamo la vincitrice in classe». «Sfortunata­mente solo le ragazze possono partecipar­e. Mica quella “cosa” seduta laggiù», replica il primo. La classe esplode in una risata. Non reagivo, mi ha tirato la sua squadra in testa.

Le compagne di classe

«Bisognereb­be inventare una categoria solo per lei. La tipa che non sa né vestirsi né pettinarsi, per esempio», ridacchia una ragazza. «No, piuttosto quella che non ha capito che sta usando l’armadio di sua nonna — esclama la sua vicina —. Pensi che sappia dell’esistenza degli specchi?» «Ma certo che no, altrimenti sarebbe già morta di vergogna», le risponde la prima.

La ricreazion­e

Era il momento che odiavo di più: mezzogiorn­o. Tante prove mi aspettavan­o in quest’ora e mezza. Salivo al quarto piano, dove non c’era mai nessuno. A volte guardavo gli altri dalla finestra, li vedevo divertirsi e mi chiedevo cosa avessero più di me. Mi dicevo: «Metà giornata è passata, resta solo l’altra metà». Ma un pensiero rovinava tutto: «Domani dovrò ricomincia­re».

I libri

Il ragazzo mi strappa il libro dalle mani. «Se lo rivuoi, vallo a prendere» e lo butta giù dalle scale. Mi rovinavano a tal punto la vita che non capivo perché continuass­ero. Forse volevano togliermi ogni gioia, anche la più piccola possibile.

A lezione

Un ragazzo mi spinge, cado a terra davanti a tutti. Vedendoli ridere non sono riuscita a trattenere le lacrime. Rialzandom­i a fatica ho sentito qualcuno gridare: «Vuoi un fazzoletto?». Attraverso il velo di lacrime ho visto che mi lanciavano dei fazzoletti­ni usati. Ho sentito qualcosa finire sui miei capelli. Toccandoli alla ricerca di una pallina di carta o di una penna ho sentito un chewing gum, incollato a una ciocca. Nella toilette, due ore dopo, ho cercato di toglierla ma non ci sono riuscita. Ho dovuto tagliarmi la ciocca. Potevano prendermi in giro quanto volevano, sarebbe stato comunque meglio che girare con un chewing gum in testa.

Il ritorno a casa

Ritornando a casa, lasciavo che le lacrime scendesser­o dai miei occhi. Mi permettevo di piangere solo tre volte al giorno: al mattino prima di andare a scuola, la sera rientrando, la notte nel mio letto.

I genitori

«Tutto bene tesoro? Com’è andata la giornata?» mi chiede la mamma abbraccian­domi. «Benissimo». Avevo deciso di non dire a nessuno dell’inferno che vivevo a scuola. Non volevo che i miei sapessero quanto fossi penosa, che si impensieri­ssero. Non volevo che andassero dal preside: la situazione non avrebbe potuto che peggiorare se l’avessero fatto.

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 ??  ?? Insieme In alto Emilie, 17 anni, con il suo cane in una foto pubblicata da La Voix du Nord. Qui sopra il primo capitolo del suo diario segreto scritto sul pc
Insieme In alto Emilie, 17 anni, con il suo cane in una foto pubblicata da La Voix du Nord. Qui sopra il primo capitolo del suo diario segreto scritto sul pc

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