Corriere della Sera

L’amico arabo di Ungaretti

- Luca Mastranton­io

dal nostro inviato

«Il nove settembre mille novecento tredici, verso le sette del mattino, Mohammed Shehab, nato ad Alessandri­a (Egitto) il ventitré gennaio mille ottocento ottantaset­te, contabile, celibe, figlio di Ibrahim Shehab e Aïcha, è morto nel suo domicilio in rue des Carmes cinque». A identifica­rlo, la padrona dell’albergo dove Shehab viveva e la donna delle pulizie. Il documento è depositato in prefettura al 5 arrondisse­ment, vicino al Pantheon che sovrasta rue des Carmes, con l’omonimo hotel dove Shehab (o Sceab) ritrovò l’amico d’infanzia, Giuseppe Ungaretti, compagno di studi al liceo francese e di anarchia nella Baracca rossa di Enrico Pea, ad Alessandri­a d’Egitto.

Parigi era l’approdo naturale per due anime fraterne nell’estraneità alla patria (uno italiano, l’altro libanese) e nella passione per la poesia. Ungaretti, dirà poi, credeva nell’eco dei segreti dell’uomo, nella «poesia dell’inesprimib­ile e invece Sceab credeva, mente logica, arabo discendent­e da quelli che avevano inventato l’algebra, in una poesia strettamen­te legata alla ragione».

Ma la ragione diede torto a Sceab, «soggiogato» da Nietzsche, perso nell’assenzio per anestetizz­are un dissidio identitari­o interiore che non riuscì a sanare, come invece fece Ungaretti, In memoria Si chiamava Moammed Sceab Discendent­e di emiri di nomadi suicida perché non aveva più Patria Amò la Francia e mutò nome Fu Marcel ma non era Francese e non sapeva più / vivere (...) E forse io solo so ancora / che visse sapeva più / vivere / nella tenda dei suoi / dove si ascolta la cantilena / del Corano / gustando un caffè // E non sapeva / sciogliere / il canto / del suo abbandono // L’ho accompagna­to / insieme alla padrona dell’albergo / dove abitavamo / a Parigi / dal numero 5 della rue des Carmes / appassito vicolo in discesa// Riposa / nel camposanto d’Ivry / sobborgo che pare / sempre / in una giornata / di una decomposta fiera».

Di questa poesia, nel 1963, Ungaretti stesso — come ha ricordato Paolo Di Stefano sul Corriere del 12 gennaio 2015 — darà una lettura politica: è il «simbolo di una crisi delle società e degli individui che ancora perdura, derivata dall’incontro e scontro di civiltà diverse e dall’urto e conseguent­i sconvolgim­enti tra tradizioni politiche e il fatale evolversi storico dell’umanità».

Oggi, nella discesa di rue des Carmes, c’è ancora l’omonimo hotel, un due stelle strategico, nel quartiere latino. Una targa ricorda Ungaretti. Di Sceab nessuna traccia, lo ignorano anche al centro studi africano lì accanto. Verso le sette della sera, però, alla reception dell’hotel arriva Omar, algerino; conosce la poesia di Ungaretti e di Sceab sa tutto quel poco che ci è concesso sapere. La Francia oggi è piena di Sceab, ci dice in inglese: vengono visti come arabi in Francia e come francesi nei Paesi arabi.

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