Corriere della Sera

Vico Equense lancia la sfida all’Unesco. E fa tornare Cannavacci­uolo

Il paese si candida a capitale culinaria. Qui lo chef aprirà un hotel, intanto raddoppia il locale a Torino

- Alessandra Dal Monte A.D.M.

vete fame? Benvenuti a Istanbul. La città in cui «ogni ingredient­e è un’istituzion­e e ogni pasto ha il suo ristorante», scrive la food writer Pomme Larmoyer nel libro che ha appena dedicato al cibo turco (Istanbul. Le ricette di culto, Guido Tommasi Editore). C’è il kahvalti salonu per fare colazione, la lokanta per i cibi pronti, il kahvehane per bere il caffè. E la meyhane, la taverna, per pasteggiar­e con i meze (o mezze, o ancora mezzé), gli antipasti misti che sono arrivati in Turchia dalla Grecia e dall’Armenia e che si trovano anche in Libano, in Israele, nel Nord Africa. Fagottini di ceci, melanzane allo yogurt, involtini di riso in foglie di vite, pasta fillo ripiena agli spinaci. E molto altro, dalle salse ai sottaceti. Si mettono al centro del tavolo e si mangiano tutti insieme accompagna­ndoli con il raki, l’acquavite aromatizza­ta all’anice. Queste ricette sono il risultato di secoli di storia e contaminaz­ioni e ogni meyhane ha i suoi meze speciali. Per questo la società americana McCormick li ha inseriti nel «Flavour Forecast», la previsione annuale delle tendenze gastronomi­che: «Saranno tra i gusti più in voga del 2016: una deliziosa introduzio­ne alla cucina mediorient­ale, vibrante e piena di sapori».

Pronostico azzeccato. Questo è l’anno in cui i meze sono usciti dai ristoranti strettamen­te etnici delle capitali occidental­i — dove comparivan­o come semplici antipasti — per diventare il piatto principale di appositi bistrot, i cosiddetti «meze bar». Gestiti da giovani libanesi, turchi, israeliani e greci capaci di andare incontro a un pubblico vasto grazie a location furbe e a un’offerta gastronomi­ca bilanciata tra sapori veraci e flessibili­tà. Come ha scritto la rivista Restaurant, molti ristoranti mediorient­ali negli ultimi tempi hanno scelto questa strada: «alleggerir­e» i tratti etnici per intercetta­re un gusto più vasto.

Prendiamo il «Mezz» di Parigi, aperto lungo il canal Saint-Martin da due ragazze francesi di origine armena: qui i meze sono di sette tipi — salse, pasta fillo, bulgur o tabouleh, polpette, insalate, spiedini e stuzzichin­i — si mangiano oco più di ventimila abitanti stretti tra le colline e il mare. E un numero impression­ante di ristoranti (150), alberghi (130), artigiani (500 tra casari, panettieri, frantoi), aziende agricole (300). Ma anche di prodotti tipici — dal Provolone del Monaco dop ai fagioli butirri, dall’olio ai pomodori — e di cuochi stellati, ben cinque, che richiamano turisti da tutto il mondo. Israeliani, americani, russi, arabi. Un flusso che arriva pure fuori stagione, con gli hotel che per la prima volta ricevono prenotazio­ni dopo il mese di settembre. Vico Equense, meta non troppo nota del golfo di Napograndi sul posto oppure si portano a casa, ma volendo si può scegliere anche altro. Pite ripiene, falafel, piatti completi. E c’è anche l’aperitivo «Mykonos style» (olive, feta e raki). Una moderna meyhane, insomma, solo un po’ meno specializz­ata rispetto a quelle di Istanbul.

A Tooting, quartiere a sud di Londra, il trentenne libanese Hikmat Antippa ha inaugurato un locale simile, il «Meza», posticino familiare che serve meze caldi, meze freddi, otto piatti principali e che in breve tempo è diventato un punto di riferiment­o della zona. Nel Queens, a New York, il miglior caffè greco della città, «Agnanti», serve un intero pasto a base di meze: formaggio saganaki al forno, salsiccia greca sfumata al vino e crocchette di zucchine. Anche a domicilio. Più recente e trendy, invece, l’israeliano li, si sta rivelando un distretto del cibo in miniatura dalle enormi potenziali­tà. Per valorizzar­e questo patrimonio il Comune ha deciso di candidarsi a «Città creativa per la gastronomi­a» dell’Unesco, titolo che finora in Italia ha ottenuto solo Parma. Una sfida difficile e lunga: il bando aprirà nel 2017. Ma l’obiettivo, presentato la scorsa settimana al Salone del Gusto di Torino con una cena firmata dai cinque cuochi big (il bistellato Gennaro Esposito, «Torre del Saracino» e gli stellati Domenico Iavarone, «Maxi», Marco del Sorbo, «Accanto», Giuseppe Guida, «Osteria Nonna Rosa», Danilo di Vuolo, «la Caletta», più il pasticcere Raffaele Cuomo) è chiaro: creare una rete ricettiva di alta qualità.

E se è vero che in questo gli chef si sono già dati da fare — Esposito ha inventato 15 anni fa «Festa a Vico», reunion di I sapori etnici più forti si «alleggeris­cono» per intercetta­re gusti molto più vasti Si prestano a essere condivisi tra commensali: una formula che spopola Origini Antonino Cannavacci­uolo lavora in Piemonte ma è nato a Vico Equense cuochi che coinvolge anche negozi e botteghe locali — adesso in ballo c’è di più: la visibilità internazio­nale. Perciò l’idea è trasformar­e la Festa in un appuntamen­to itinerante da ripetere più volte l’anno in diverse città, con invitati anche stranieri.

Ma non solo. C’è un altro chef, nato a Vico e poi emigrato, che aprirà un’attività nel suo paese d’origine. La star di Cucine da incubo e Masterchef Antonino Cannavacci­uolo, due stelle Michelin al «Villa Crespi» sul lago d’Orta, sta progettand­o di trasformar­e un casolare di famiglia sui colli vicani in un hotel con sei-sette camere di charme circondate da frutteti e orti. Ci sarà anche una piccola cucina che servirà i prodotti coltivati in loco. La struttura non sarà pronta prima di due-tre anni, ma di certo interesser­à i turisti gourmet che già vedono in Vico una meta da non perdere. Tornando al Nord, Cannavacci­uolo sta per raddoppiar­e la sua formula bistrot: dopo l’apertura a Novara, un anno fa, in primavera toccherà a Torino, vicino alla chiesa della Gran Madre. Cucina aperta per pranzo, aperitivo e cena, al timone uno chef giovane formato da lui e prezzi accessibil­i. Per ampliare l’offerta. E rafforzare il brand.

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