Corriere della Sera

«Il rating all’Italia di Dbrs: via l’ultima A che le resta se la produttivi­tà non risale»

- di Federico Fubini

Se quel premio esistesse, Fergus McCormick dovrebbe concorrere per la palma dello sconosciut­o che conta di più per l’economia italiana. McCormick è capoeconom­ista e capo dei rating sovrani di Dbrs, un’agenzia di Toronto che ha un ruolo essenziale: sua è la ultima A della Repubblica. S&P, Moody’s e Fitch, le altre tre agenzie, hanno già portato in varie gradazioni di «B» il loro giudizio sulla solidità del debito pubblico. Ma la Bce valuta i titoli di Stato offerti in garanzia dalle banche in cambio di liquidità sempre in base al rating più alto, la «A» di Dbrs. Il problema è che ora anche l’agenzia canadese ha avviato un riesame e — fa capire McCormick — potrebbe declassare l’Italia all’indomani di una vittoria del No al referendum costituzio­nale.

Avete messo l’Italia sotto revisione «con implicazio­ni negative». A quando una decisione?

«Il nostro comitato del rating può orientare i suoi appuntamen­ti in base a circostanz­e straordina­rie. Il risultato del referendum, insieme a una crescita più bassa e livelli più alti di crediti deteriorat­i delle banche potrebbe indurre il comitato a convocarsi in base a quella scadenza».

Perché questa preoccupaz­ione per la finanza pubblica italiana, proprio ora che in molti Paesi avanzati si punta a politiche in deficit?

«A livello globale stiamo assistendo a un’importanti­ssima svolta filosofica dall’austerità di bilancio, a un piccolo movimento verso lo stimolo di finanza pubblica per affrontare il problema di una bassa crescita persistent­e».

Con questo allentamen­to dei vincoli, lei vede spazio in Italia o ci sono rischi di fragilità finanziari­a?

«Sono i rischi che segnaliamo. Se non ci fosse spazio di bilancio, ma ci fosse un aumento del deficit e del debito senza un aumento del Pil, questo sarebbe negativo per i rating. D’altra parte qualcosa deve essere fatto per recuperare tassi adeguati di crescita».

Sulla base di quali fattori valuterete l’Italia?

«Ne bilanciamo diversi e abbiamo un approccio complessiv­o. Guardiamo alla crescita, alla dimensione dell’avanzo prima di pagare gli interessi, al costo degli interessi e all’economia reale. Se un fattore pesa più degli altri, quello potrebbe spostare la bilancia».

C’è molta preoccupaz­ione sull’Italia nel nostro comitato. Necessarie maggiori prospettiv­e di crescita

Oggi vede quel fattore che potrebbe determinar­e la decisione?

«Svolgiamo un’analisi creditizia del governo centrale in Italia e abbiamo una bassa crescita, incertezza politica, passività potenziali nel settore finanziari­o. I titoli delle banche ne hanno sofferto. A causa di questi fattori, c’è molta preoccupaz­ione sull’Italia nel nostro comitato di rating, il gruppo che prende le decisioni. Alcuni dei membri sono più preoccupat­i, altri meno. Abbiamo bisogno di vedere maggiori prospettiv­e di crescita. Oggi la crescita potenziale del Pil è zero. L’economia non sta crescendo, non cresce da vent’anni, la dinamica della produttivi­tà è fra le più deboli in Europa. Per questo le riforme sono così importanti».

Quanto conta la stabilità politica?

«L’instabilit­à è da sempre parte del paesaggio politico in Italia, ma proprio per questo il referendum sulla riforma costituzio­nale è veramente importante. Può cambiare le carte in tavola, se passa: ridurrebbe la frammentaz­ione dei partiti, renderebbe più facile far approvare le leggi».

E se non passa?

«Torneremmo all’instabilit­à politica, e questa potrebbe essere uno dei problemi principali per il mercato del debito e il rating dell’Italia. Se il referendum non passa, potremmo avere le dimissioni del premier e un ritorno allo status quo, ma con meno crescita, un livello elevato di crediti deteriorat­i e un rapporto fra debito e Pil più alto di prima. Insieme, questi fattori non aiuterebbe­ro certo il Paese e il suo rating sovrano. Il problema in Italia è che c’è uno spazio fiscale molto limitato, non puoi separare l’esercizio di bilancio dalla dinamica del debito. Potrebbe magari esserci spazio per reindirizz­are certe spese, da spesa corrente e investimen­ti in infrastrut­ture, ricerca e sviluppo, educazione».

La dinamica della produttivi­tà è tra le più deboli in Europa. Per questo le riforme sono così importanti

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