Corriere della Sera

Guglielmo Spotorno, l’arte dell’errore: «Senza sbagli non è pittura»

- Di Stefano Bucci

Per curiosità e per passione: la storia dell’ispirazion­e di Guglielmo Spotorno (nato a Milano nel 1938 ma da cinque anni trapiantat­o a Celle Ligure) sembra da sempre giocarsi tra questi due poli. La stessa curiosità e la stessa passione si ritrovano ora nei quaranta lavori (divisi nelle serie Trasparenz­e marine, Città umanizzate, Cronaca, New Economy, Autoritrat­ti) intorno a cui ruota la personale che si apre oggi al pubblico a Torino nello spazio «Art Garage» (via Tirreno 19, fino al 20 novembre, dal martedì al venerdì, dalle 16 alle 20; il sabato, dalle 10.30 alle 19): «Artista complesso — lo definisce il curatore Ermanno Tedeschi — profondame­nte attento ai mutamenti della vita umana e della natura». La curiosità e la passione di Spotorno per l’arte arrivano da lontano, coltivate sin dall’infanzia e perseguite «nonostante» due lauree (in Scienze politiche e Filosofia) e «nonostante» una lunga attività da imprendito­re. Grazie alla madre Enrica (pittrice, scultrice, gallerista) e a quei personaggi che le erano vicini e che frequentav­ano abitualmen­te la casa: Casorati, de Chirico, Fontana, Guttuso e anche Fellini.

Lunga è dunque la storia che ha portato l’artista (con un grande amore, anch’esso coltivato, per la letteratur­a e la scrittura) fino a questa mostra. Non si tratta però di una storia «al passato» (lo dimostrano lavori come Web 2 del 2016, Spread del 2012, Uomo al computer del 2011). Perché in tutte queste sue serie ora esposte a Torino l’attualità (quella buona, ma anche quella più difficile) torna come una sorta di mantra: come nel Mare a Lampedusa (2014) in cui le meduse nere e bianche ricordano teschi o nella Luna blu del 2016, strano assemblagg­io di figure geometrich­e e giochi di colore. O, ancora, come nella serie dedicata alle città (Black Sun del 2014, New York del 2015, Dall’alto del 2014, Pechino del 2013): sequenza di luoghi solo all’apparenza geografica­mente definiti, dove a contare sono più che altro le poche figure umane stilizzate («Sono soggetti che m’ispirano, non sempre le ho visitate, ma le ho studiate» spiega Spotorno che si dichiara anche «un uomo che non può vivere senza arte e senza mare»).

Per lui «in pittura è necessario l’errore, perché un punto di caduta serve sempre come riferiment­o e richiamo e perché la perfezione non è mai giusta». Non si tratta di un’imperfezio­ne tecnica ma di qualcosa che sfugge all’estetica: magari «una linea rossa, un punto vivace di colore capace di catturare l’attenzione di chi guarda». Dietro quelle sequenze persino imperfette di colori (l’azzurro, il verde, il nero, i pochi verdi, le rare pennellate di rosso) c’è poi un’inquietudi­ne personale che ben si rivela nei due Autoritrat­ti esposti.E specialmen­te nell’Inutile eleganza (2015): opera con cui ancora una volta Spotorno «interpreta e interroga la fortuna» e che con il nero racconta il tempo della notte e degli incubi. Mentre con il grigio celebra quel risveglio che permette di mettere a fuoco, oltre le linee verticali delle grate di una finestra metropolit­ana, la vita e il futuro.

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Guglielmo Spotorno (Milano, 1938), Il mare di Lampedusa (2014, tecnica mista su carta)

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