Corriere della Sera

L’anatema e il salvataggi­o Odissea di un Compianto

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Tondo di fede Filippino Lippi, «Madonna col Bambino e angeli», 1485-1486, una delle opere nel percorso della collezione passava anche attraverso una profonda innovazion­e architetto­nica e urbanistic­a. Così aveva preso ad ammodernar­e anche le chiese, nell’ottica di un recupero funzionale che ben si adattava al credo giansenist­a. E aveva ordinato dei lavori di adeguament­o nell’amatissima (dai fiorentini, beninteso) chiesa di San Pier Maggiore, all’entrata orientale di Firenze. Questo edificio di culto stava a cuore ai cittadini perché teatro delle gesta di san Zanobi, che, secondo l’agiografia, aveva fatto risorgere il figlio di una pellegrina. Ma nei secoli la chiesa era stata arricchita con donazioni da parte dei nobili più in vista e con opere di artisti come Donatello o Luca Della Robbia.

E c’era anche la Pietà del Perugino, affrescata in una facciata del limitrofo sacello. Ma i lavori di «ammodernam­ento funzionale» voluti da Pietro Leopoldo si trasformar­ono in tragedia: parte dell’edificio crollò e morì un operaio. Allora, quasi come in un corpo a corpo tra spirito illuminist­a e Il travaglio (tra recuperi e vendite all’estero) di una Pietà del Perugino resistenza della fede, il Granduca ordinò che la chiesa venisse distrutta e che tutti gli arredi (comprese le pitture murali) fossero messi in vendita. Lorenzo degli Albizi però non ci stava. Voleva salvare a Beatitudin­e Il Compianto su Cristo morto di Pietro Perugino, affresco del 1497 tutti i costi il sacello (intitolato alla sua famiglia) e il Compianto del Perugino, così pacificato, compiuto. Così savonaroli­ano nello spirito della redenzione: il Perugino infatti aveva una disposizio­ne d’animo e di pennello che si adattava all’essenziali­tà senza distrazion­i propria delle prediche del frate. Quell’affresco era insomma una specie di ricordo della Firenze pre-illuminist­a. E questo senso di protezione nei confronti della chiesa di San Pier Maggiore oggi sembra un omaggio alle radici della città.

Così il marchese Lorenzo degli Albizi si riprese parte del sacello, fece staccare l’affresco — più propriamen­te venne «tagliato» il muro e solo in un secondo momento venne strappata la pittura. L’opera finì prima in Olanda e nel 1990 riapparve sul mercato londinese, quando venne acquistata dalla direzione della Cassa di Risparmio di Firenze. Il restauro di Giovanni Cabras oggi permette di guardare negli occhi il Cristo, la Vergine, san Giovanni e Giuseppe d’Arimatea. E di godere di quella beatitudin­e che il Marchese aveva voluto preservare a tutti i costi.

@MadameSwan­n

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