UN ATTACCO AL SÌ CHE TRADISCE LA PAURA DELLA SCONFITTA
Stavolta la polemica è più insidiosa. Per delegittimare il fronte del Sì al referendum, i sostenitori del No cercano di coinvolgere nella rissa sia la Corte di Cassazione, sia il Quirinale. Raffigurano il testo del quesito come «uno spot pubblicitario» per «ingannare i cittadini». Il ricorso al Tribunale amministrative regionale del Lazio, presentato ieri dal M5S e da Sinistra italiana, potrebbe anche essere liquidato come irrituale. Tra l’altro, si è rivelato maldestro il tentativo di attribuire alla presidenza della Repubblica la formulazione del quesito, «valutato e ammesso», ha fatto sapere il Quirinale, «dalla Corte di Cassazione».
Ma si apre comunque un altro fronte, tutto istituzionale, nella rissa tra governo e opposizioni. Punta a seminare dubbi sulla correttezza della consultazione del 4 dicembre; e a mostrare un governo e un sistema coalizzati per disinformare l’opinione pubblica. Eppure, con una punta di malizia si potrebbe pensare che con l’iniziativa di ieri Beppe Grillo e i suoi alleati si stiano costruendo un alibi in caso di sconfitta. Al di là dei sondaggi e del numero degli indecisi, infatti, nessuno può prevedere come andrà a finire.
La campagna di Matteo Renzi in tutta Italia, la mobilitazione dei ministri e l’allarme, vidimato da una celebrità come l’attore Roberto Benigni, sugli effetti deleteri del No, confermano una partita aperta; o comunque l’intenzione di rovesciare pronostici sfavorevoli. Anche per questo il premier continua a giustificarsi per avere personalizzato troppo all’inizio. E, per tacitare la minoranza del Pd orientata al No, ribadisce di essere pronto a cambiare la legge elettorale che pure considerava un pilastro delle riforme: a conferma della sua ricerca disperata di alleati.
Renzi ironizza in uno dei tanti comizi: «Sapete chi ha deciso il quesito sulla scheda per il referendum? La legge italiana. Non lo dite a quelli del Comitato del No, potrebbero restarci male». E ricorda che tutti hanno raccolto le firme «sullo stesso quesito». Gli avversari contestano la sua versione, naturalmente. D’altronde, si vuole o soprattutto insinuare il dubbio che la partita sia truccata. Il gioco è pesante. Riaffiora l’accusa al governo di alimentare l’allarmismo. Il fatto che Benigni abbia detto che una vittoria del No «sarebbe peggio della Brexit» gli ha tirato addosso accuse da destra e da sinistra.
E il M5S non smette di accusare il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, di avere «speso soldi dei contribuenti in Sud America per fare comizi a favore del Sì». La Farnesina è stata costretta a intervenire per ribadire «l’invito a mantenere una totale neutralità a tutta la rete diplomatica consolare» in vista del 4 dicembre. Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha smentito qualunque partecipazione degli ambasciatori alle manifestazioni organizzate durante il viaggio della Boschi. Sono veleni, sintomi di uno scontro destinato a incattivirsi; e a trasformare chiunque in un bersaglio. A prescindere dal merito del referendum, che pure ci sarebbe tempo di spiegare nei prossimi due mesi.