Corriere della Sera

«I segreti del mio amore per Panagulis»

Gli inediti di Oriana Fallaci in un libro «autoritrat­to»: il patriota greco, i viaggi, le paure

- di Oriana Fallaci Bozzi

«Sono tornata in Grecia quando ho potuto: mia madre stava morendo. Peggiorò improvvisa­mente il giorno in cui Alekos morì. Ne rimase straziata perché lo amava moltissimo: tanto quanto lui amava lei. Infatti la chiamava Mamma, e Mamma Tosca: sapendo quanto ciò le facesse piacere». Così Oriana Fallaci in una raccolta di scritti, quasi un’autobiogra­fia postuma, in libreria giovedì per Rizzoli.

Sulla tomba di Alekos non ho mai portato un fiorellino. Ogni 1° maggio, cioè ogni anniversar­io della sua morte, gli ho spedito trentasett­e rose rosse: sì. (Aveva trentasett­e anni quando lo uccisero). Ma quel fiorellino non gliel’ho mai portato. Nel cimitero della mia famiglia, a Firenze, ho posto una lapide in sua memoria: sì. L’ho posta nell’angolo dove sarò sepolta. Ma la sua tomba non l’ho mai vista e non la vedrò mai. Non voglio vederla. Del resto, che senso avrebbe vederla? Lì ci sono soltanto le sue ossa spolpate dai cannibali (...) e dagli avvoltoi che vendono le T-shirt col profilo dell’eroemorto-a-Glyfada. La sua anima sta nel mio cuore.

Sono tornata in Grecia quando ho potuto: mia madre stava morendo. Peggiorò improvvisa­mente il giorno in cui Alekos morì. Ne rimase straziata perché lo amava moltissimo: tanto quanto lui amava lei. Infatti la chiamava Mamma, e Mamma Tosca: sapendo quanto ciò le facesse piacere. Quel giorno la mamma si mise a letto e, praticamen­te, non si rialzò più fino al giorno in cui morì. Poco prima di morire, il giorno prima, mi disse: «Vado da Alekos».

E poi cosa avevo da fare in Grecia ormai? Niente fuorché portare qualche fiore sulla tomba e piangere a vederla così brutta, non fatta.

(All’inizio mi era stato chiesto di farla e io avevo ordinato anche la pietra per farla come sapevo che Alekos l’avrebbe voluta: simile alla tomba di Garibaldi, senza croci. Ma poi, quando la pietra fu pronta, mi si disse che potevo usarla per me... Credo per via della croce, cioè del fatto che non volevo mettere croci. Alekos odiava talmente le croci).

In compenso, in Italia, avevo da fare qualcosa di importante: assistere mia madre durante la sua agonia. E così, quando la sua situazione peggiorò ancora, e il cancro invase tutto il corpo, non la lasciai più. I primi otto mesi di lutto per Alekos li ho passati praticamen­te in camera di mia madre, ad aspettare la sua morte. Quando la mamma è morta è stato terribile per me. Ho dovuto ripetere gli stessi gesti: vestirne il corpo, metterla nella cassa, accompagna­re quella cassa al cimitero, vederla calare dentro un buco nero... E bisogna capire una cosa: Alekos e mia madre erano le due creature della mia vita. Più mi guardo indietro, più concludo che non ho mai amato Dopo l’addio Sulla sua tomba non ho mai portato un fiorellino. Ogni 1° maggio, cioè ogni anniversar­io della sua morte, gli ho spedito trentasett­e rose rosse

Ritorno ad Atene Per mesi chiesi di essere interrogat­a dai giudici. Dopo avermi ascoltato, il magistrato mi disse: adesso sono convinto che sia stato ammazzato niente e nessuno come Alekos e la mia mamma. E ora tutti e due se ne sono andati. Uno dopo l’altro, a soli otto mesi di distanza. Ma un’altra cosa ho da dire: quando la mamma è morta, nessuno mi ha mandato una parola di cordoglio da Atene. Nessuno. Nessuno ha mandato un fiore. Eppure il fratello e la madre di Alekos conoscevan­o la mia mamma. Erano venuti a trovarla nella nostra casa di campagna nel 1975, ed erano stati ricevuti dalla mia famiglia con molto affetto.

Pensavo naturalmen­te di tornare in Grecia il 1° maggio. Ma poi ho saputo che la cerimonia sarebbe stata gestita dall’Unione di Centro e dal partito di Papandreu. E me ne sono scandalizz­ata. Dall’Unione di Centro Alekos era uscito, carico di delusioni e di dispiaceri: in Parlamento era rimasto come indipenden­te di sinistra. Verso Papandreu si era sempre comportato con sdegno: lo riteneva uno degli uomini più pericolosi di Grecia. Non lo stimava. Non lo aveva stimato mai. So che ora si cerca di cambiare le carte in tavola e di dire il contrario. È una cosa infame verso Alekos che dalla tomba non può rispondere. La sua avversione verso Papandreu era tale che nemmeno in Parlamento, passandogl­i davanti, gli rivolgeva la parola. E questa avversione durava fin dal giorno in cui era uscito di prigione. (...)

Si potrebbe scrivere un lunghissim­o articolo solo su questo. Io so tutto perché ho visto tutto e perché sul passato Alekos mi ha raccontato tutto.

Dovrei quindi lasciar sfruttare il mio nome dall’Unione di Centro e dal partito di Papandreu? Dovrei quindi farmi strumental­izzare da loro partecipan­do alle loro funebri cerimonie elettorali? No, grazie. Non lo farò. Per la mia dignità e per la dignità di Alekos. Mi sembrerebb­e di tradirle. Quando vorrò portare un fiore sulla tomba di Alekos, ci andrò zitta zitta come ho fatto sempre: senza che nessuno lo sappia. Non il 1° maggio. Il 1° maggio commemorer­ò Alekos a modo mio. E i fiori glieli porterò nella cappella della mia casa di campagna. Oppure nella nostra stanza della mia casa di campagna, dove ancora dormo e dove tutto è come quando lui partì. Le sue ciabatte, la sua biancheria. Le poesie che scriveva per me quando veniva Natale o Pasqua o il mio compleanno. Tutti i Natali e le feste Alekos le passava qui in campagna, insieme a me e alla mia famiglia. Tutti dal 1973. Qui ha vissuto per mesi. E qui è più presente che al cimitero di Atene. Al cimitero di Atene vi sono soltanto le sue ossa, col mio anello al suo mignolo sinistro. Ad Atene non c’è più nemmeno la nostra stanza, in via Kolokotron­i. È stata disfatta senza dirmi nulla. Non so chi abita in quell’appartamen­to, ora. Meglio così.

E poi le cerimonie non servono ai morti: servono ai vivi. O meglio agli sciacalli. Non è facendo una cerimonia sfruttabil­e politicame­nte che si racconta al mondo chi era Alekos e perché morì. È facendo ciò che faccio io. Cosa faccio? Vedrete.

Sulla mia testimonia­nza a Gavunelis

Per mesi chiesi agli avvocati di essere interrogat­a dal magistrato che conduceva l’inchiesta. Ma soltanto verso agosto o settembre fui finalmente chiamata. Parlai a Gavunelis per undici ore e mezzo ininterrot­te. E alla fine lui sbottò: «Ma perché lei non è venuta prima, da me?!?». Risposi: «E perché lei non mi ha chiamato prima?!? Da mesi aspettavo che mi chiamasse e lo dicevo agli avvocati della famiglia». Rispose Gavunelis: «Soltanto ieri gli avvocati mi hanno informato che lei sarebbe venuta ad Atene e che, in tale occasione, sarebbe stata a mia disposizio­ne se volevo interrogar­la». Rimasi allibita. Chiesi ancora: «Ma perché non ci ha pensato prima, da sé?». Rispose Gavunelis: «Io volevo, fin da principio. Ma i familiari mi dissero che non dovevo chiamarla perché non sapeva nulla. Non conosceva Alekos, o lo conosceva appena». Risposi a Gavunelis: «Tutta la Grecia sa che io ero la donna di Alekos. Partimmo insieme nell’ottobre del 1973, vivevamo insieme durante l’esilio. Eravamo sempre insieme, dopo. Qualsiasi giornale lo sapeva. Non legge i giornali?». E Gavunelis: «La famiglia mi disse che lei non sapeva nulla perché Alekos la conosceva appena». Quanto alla mia testimonia­nza credo che sia stata data ai giornali incompleta. Perché non credo che i tagli siano stati fatti dai giornali. Sono tagli che riguardano i punti più interessan­ti della mia deposizion­e. Se i giornali li avessero avuti, non se li sarebbero lasciati sfuggire. Devo anche dire che, alla fine della mia deposizion­e, Gavunelis mi disse: «La sua testimonia­nza è forse la più importante che abbia ascoltato. Lei sa molto di più, molto (più, ndr) di quanto sa la famiglia. E ora sono convinto che Alekos non sia morto per un banale incidente automobili­stico. Sono convinto che sia stato ammazzato. Ma perché andava solo, di sera, senza una guardia del corpo?!?».

In quella occasione rividi il fratello di Alekos. Venne a prendermi all’aeroporto e fu sempre accanto a me. I fotografi lo sanno bene. Quando ritornai ad Atene lo incontrai allo stadio dove si teneva una cerimonia commemorat­iva per la resistenza contro i nazifascis­ti. Ero lì per incontrare un antico amico di Alekos. Ma lui si mise a gridare insulti contro questo signore, non so perché, e anche a dire che io ero l’amica di Averoff e di Andreotti. Non mi parve molto normale, diciamo. Provai una gran pena. Così mi alzai e me ne andai a sedere accanto a Elias Eliu che è un brav’uomo.

Da quel giorno non ho più voluto vedere nessuno.

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