Corriere della Sera

La lite infinita e lo spettro della scissione

- Di Massimo Franco

Probabilme­nte sfugge al vertice del Pd la stanchezza che le sue liti hanno prodotto da tempo nell’opinione pubblica. La spaccatura nella riunione di ieri della direzione in materia di referendum lascia balenare una scissione entro pochi mesi.

Eppure, la prima conseguenz­a è una picconata alla credibilit­à delle proposte rivolte al Paese. Le riforme costituzio­nali, il sistema elettorale: tutto finisce per essere percepito non come spartiacqu­e per il futuro dell’Italia, ma come terragna materia di scambio nei giochi interni del Partito democratic­o.

L’impression­e sgradevole è che il presunto perno del Paese, in realtà, gli stia scaricando addosso la sua instabilit­à. La domanda da porsi è come mai si sia arrivati a questa frattura senza che nessuno sia riuscito a scongiurar­la. Sarebbe quasi rassicuran­te scorgere una strategia o un calcolo, da parte della maggioranz­a e della minoranza del Pd. Il sospetto, invece, è che l’esito sia il frutto di furbizie e odi reciproci, nutriti all’ombra di parole ufficiali di comprensio­ne e di concordia. Sembra quasi che i dem facciano di tutto per somigliare all’Italia nei suoi aspetti deteriori. Se al referendum del 4 dicembre si arriva in un clima da ultima spiaggia, è anche perché vengono artificios­amente trasferite sul Paese la loro rissa e la loro incapacità di dialogare.

Non c’è dubbio che il No annunciato dalla minoranza anti-renziana grondi ostilità verso il governo e il premier personalme­nte. Pier Luigi Bersani e gli altri avversari avevano votato le riforme sottoposte a referendum. Il fatto che quel sì iniziale si sia trasformat­o nel tempo in un rifiuto politicame­nte traumatico segnala un comportame­nto discutibil­e. Ma è singolare anche che Renzi non abbia fatto nulla per captare e evitare quanto si agitava nelle viscere del partito del quale è segretario. Ieri si è difeso accusando gli avversari interni di cercare un alibi pur di criticarlo. Non ha concesso molto, però.

Si è impegnato a discutere le modifiche della legge elettorale, certo, ma dopo il referendum: proposta rifiutata, naturalmen­te. Ma è come se ogni parola rispondess­e a un canovaccio già scritto, che, se confermato, può preludere a una crisi irreversib­ile del centrosini­stra. Quello che Renzi e i suoi avversari sembrano non capire, tuttavia, è la distanza siderale delle loro priorità dalle esigenze di un’Italia allibita da comportame­nti che dimostrano un certo difetto di consapevol­ezza. Per mesi si è assistito a un Renzi che minacciava di «usare il lanciafiam­me» contro i suoi critici. E i suoi critici non nascondeva­no

Le macerie istituzion­ali Il timore che lo scontro prolungato nel Pd si scarichi sull’Italia e dopo il 4 dicembre lasci solo macerie istituzion­ali

la voglia repressa di farlo saltare, non esistendo ancora le condizioni per una scissione.

Quanto si è visto e sentito ieri alla direzione del Pd è l’ultima tappa di questa danza spregiudic­ata sui problemi del Paese: un approccio che verosimilm­ente continuerà anche dopo il referendum, chiunque vinca. Ma l’esito della spirale polemica sarà di coinvolger­e l’Italia nelle convulsion­i post-referendar­ie del Pd: sebbene quella tra il destino del Paese e del partito sia un’identifica­zione forzata e azzardata. Per fortuna, il referendum è solo un passaggio. Ma se non cambia qualcosa, il punto d’arrivo rischia di essere un’ulteriore frantumazi­one del sistema politico; e spinte contrastan­ti per arrivare a elezioni anticipate nel 2017.

Lo scenario diventereb­be quello di un voto su macerie istituzion­ali e politiche sulle quali ricostruir­e sarebbe più faticoso di prima. Già alle Amministra­tive di giugno il Pd è stato ridimensio­nato rispetto alle Europee del 2014; e molte delle tensioni si sono acuite dopo quella sconfitta. Adesso, va evitato che si radichi un dubbio pericoloso: che la velocità sbandierat­a in questi due anni e mezzo abbia fatto perdere e non guadagnare tempo all’Italia, al punto da spaccare il Pd. Sarebbe una manna per il peggiore populismo, che sugli errori altrui finora ha vissuto di rendita.

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