Il dibattito non risolleva Trump Il leader della Camera lo molla
Lo speaker repubblicano Ryan sembra alludere a una vittoria di Hillary
ST.LOUIS (MISSOURI) «Non difenderò Donald Trump». Lunedì mattina, il giorno dopo il dibattito presidenziale di St. Louis, Paul Ryan, lo speaker della Camera dei rappresentanti, chiama a raccolta i deputati repubblicani. È una teleconferenza. Burrascosa, ma con un esito chiaro: la leadership del Great Old Party ha scaricato il candidato scelto a luglio dalla Convention di Cleveland.
L’esito era nell’aria dopo gli ultimi giorni infernali per Trump, segnati da video e registrazioni sessiste. Il tycoon, però, non ha intenzione di farsi da parte. Continua la sua corsa, guidando non più un largo blocco politico, ma una falange sempre più ristretta di collaboratori che si appella direttamente al voto popolare.
Bisogna, però, sfidare anche i sondaggi. Quello commissionato dalla Cnn all’istituto Orc, uno dei più seri del Paese, ha assegnato la vittoria del confronto a Hillary Clinton con il 57% di gradimento; per Trump solo il 34%; 9% di indecisi. Non è ancora possibile valutare l’impatto del confronto di domenica sera alla Washington University. Ma l’ultima rilevazione pubblicata ieri dal Wall Street Journal e da Nbc mostra che la forbice tra i due contendenti si sta allargando a livello nazionale: 46% di consensi per Clinton; 35% per Trump. Il distacco ora è di 11 punti percentuali, rispetto ai 6 registrati a settembre. Il campione è stato interpellato tra sabato e domenica scorsi, quindi dopo la diffusione del filmato con le battute volgari del tycoon, ma prima del duello con Hillary.
Trump, dunque, appare in picchiata. Eppure domenica sera tra i sostenitori del frontrunner repubblicano si coglieva una sensazione di scampato pericolo. Nei primi 20 minuti Trump aveva dato l’impressione di poter essere travolto. Aveva reagito in modo impacciato alle domande sulle sue grevi battute sulle donne: «Erano discorsi riservati, che risalgono a dieci anni fa. Io non sono così. Ho chiesto scusa alla mia famiglia, ma ora dovremmo parlare dell’Isis». Per Hillary Clinton è stato facile operare la saldatura tra «The Donald» del 2005 e quello che nel 2016 insulta i messicani, i musulmani e le donne. «Ho sempre rispettato i miei concorrenti repubblicani — ha detto l’ex segretario di Stato — ma stavolta è diverso. Avete visto chi è Trump: non può essere il presidente degli Stati Uniti». Questo passaggio, probabilmente, ha segnato la discussione, condizionato il giudizio degli spettatori e spinto Ryan e gli altri a dissociarsi.
Trump aveva provato a uscire dall’angolo con battute mai sentite in un confronto per la Casa Bianca: «Se diventerò presidente chiederò al ministro della Giustizia di aprire un’inchiesta per come hai gestito le e-mail riservate. Tu dovresti essere in galera». La nuvola di zolfo ha gravato sui novanta minuti di un dibattito che è stato considerato il «più brutto» della storia. Uno spettacolo tossico, solo attenuato dalla goccia di miele finale, quando Hillary ha elogiato i figli del costruttore e «The Donald», di rimando, ha detto di apprezzare «lo spirito da combattente» dell’avversaria.
Le speranze di Trump si fondano su un’ipotesi: che esistano due mondi separati in America, che si ignorano e non comunicano. Da una parte la politica tradizionale, con i giornali, le tv, le statistiche. Dall’altra «un popolo» che non crede ai media, non risponde ai sondaggi, detesta tutto ciò che rimanda ai partiti e che è pronto a mobilitarsi per portare «The Donald», il sovversivo, alla Casa Bianca. È quello che, in fondo, è accaduto con la Brexit. Sembra molto improbabile che andrà così. Tuttavia l’esperienza di questo incredibile 2016 consiglia di aspettare fino all’8 novembre, giorno delle elezioni.