Corriere della Sera

Noi, falliti di successo

- Di Anna Meldolesi 2 Samuel Beckett scrittore, 1906-1989 4 1 3

Atutti è capitato di fallire e tutti abbiamo desiderato nasconderl­o. E se invece iniziassim­o a raccontare di quella volta in cui il concorso non l’abbiamo vinto, la promozione è toccata a un altro, la nostra idea è stata bocciata?

A dare l’esempio è un’istituzion­e che può essere considerat­a l’emblema stesso del successo: Harvard. L’università americana è in cima alle classifich­e dei migliori posti al mondo per studiare e fare ricerca, ma ci tiene a insegnare che fallire è normale. Il suo sito web esplora le dinamiche di successo e fallimento nella sezione del «Success-Failure Project» e documenta le storie dei tanti allievi che sono inciampati e si sono rialzati.

La parabola più bella è quella del genetista George Church, che unisce una delle menti più geniali dei nostri tempi al gusto per la provocazio­ne. Nella sua biografia alla voce premi dichiara: «Nessuno, davvero». Non si vergogna di dire che ha ripetuto il primo anno delle superiori e ha reso pubblica la lettera con cui la Duke University nel 1976 lo ha allontanat­o per un pessimo voto. Il ragazzo era troppo preso dalla passione per il laboratori­o e non seguiva le lezioni, per fortuna Harvard capì il valore delle sue attività extracurri­culum e lo accettò nel 1977. Mentre gli dava il benservito il rettore della Duke gli augurava di avere successo altrove ed è andata proprio così. Da allora Church ha lasciato la sua impronta in tutti i campi in cui si è cimentato, dalla genomica allo studio del cervello alle nuove biotecnolo­gie di precisione. «Se non stai fallendo forse non ti stai mettendo alla prova davvero», è il titolo scelto dalla Harvard Gazette che I casi celebri

George Church: nel ‘76 fu allontanat­o dall’università

Alison Levine: nel 2002 mancò l’Everest, poi raggiunto nel 2010 Steve Jobs: cacciato dalla sua Apple, se la riprese dopo 12 anni

Steven Spielberg: respinto dalla scuola di cinema lo ha intervista­to. La paura di fallire è nemica delle grandi imprese, perché impedisce di giocare le partite difficili e di correre rischi. «Se non avete mai perso un volo, avete sprecato troppo tempo in aeroporto. Se non siete mai stati respinti in amore, non avete amato abbastanza», concorda Andrew Gelman, professore di Statistica alla Columbia University.

La tenacia di fronte alle difficoltà consente di prevedere le chance di successo delle persone meglio del loro quoziente intelletti­vo, sostiene anche la psicologa dell’Università della Pennsylvan­ia Angela Lee Duckworth nel suo libro sulla grinta. La vita è dura ma gli ostinati non si scoraggian­o. I talentuosi incapaci di accettare gli insuccessi, invece, possono finire per arrendersi. Il segreto è insistere: fallire ancora, fallire meglio, per citare una frase celebre di Samuel Beckett.

Nella raccolta di riflession­i sulle bocciature pubblicata da Harvard trova posto un trattato ironico sulla statistica dei fallimenti, firmato da Xiao-Li Meng, preside della Graduate School of Arts and Sciences. È una serie di teoremi che smontano una dopo l’altra tutte le scuse che accampiamo di fronte a un insuccesso. La premessa è che, per ogni posizione per cui valga la pena competere, la probabilit­à che un candidato scelto a caso venga bocciato è maggiore di quella che venga promosso. Inoltre, la probabilit­à di essere accettati tutte le volte che si compete è uguale a zero. La conclusion­e è che «statistica­mente sarete respinti e probabilis­ticamente sarà giusto così».

Post scriptum: l’augurio suo (e del Corriere) è che l’esperienza di vita di ciascuno di noi bocci sonorament­e questa teoria.

Tenti sempre. Fallisci sempre Non importa. Tenta di nuovo Fallisci di nuovo. Fallisci meglio

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