IL CORAGGIO DI INVESTIRE NEL FUTURO DI
ESSELUNGA
«Il futuro è tracciato: che io ci sia oppure no, cambia ben poco». Così, in occasione dei suoi novant’anni, scriveva ai propri dipendenti il fondatore, padre e padrone dell’Esselunga, Bernardo Caprotti.
Purtroppo non sarà così. In quella medesima lettera, Caprotti ricordava la prossima apertura di altri cinque supermercati e assicurava che «altri arriveranno». Qui sta il punto. Che ne sarà del gruppo che lo scorso anno di supermercati è arrivato a contarne ben 152, fatturando la bellezza di 7,3 miliardi di euro?
Si sa che Caprotti aveva ricevuto delle manifestazioni d’interesse per il proprio gruppo da parte di grandi fondi d’investimento stranieri e che lui stesso, consapevole del «bel traguardo» raggiunto con i suoi novant’anni, aveva incaricato una grande banca americana di vagliare ed eventualmente negoziare i termini di una possibile vendita.
Della propria creatura, «diventata attrattiva», Caprotti — lo ha scritto nel proprio testamento — pensava che «è troppo pesante condurla, pesantissimo possederla», che occorresse per questo «trovare una collocazione internazionale» e che il candidato ideale fosse Ahold, il gruppo olandese della grande distribuzione recentemente fusosi con la belga Delhaize.
Spetterà ora agli eredi decidere se e come proseguire su questa strada che era stata indicata dal fondatore. Piergaetano Marchetti, il rispettatissimo notaio milanese nominato presidente del consiglio d’amministrazione, ha parlato di sospensione del processo di vendita e pare che la pausa sarà di almeno due anni.
Ma di pausa si tratta e, prima o poi, le decisioni sul futuro di Esselunga saranno prese. Saranno scelte il cui impatto
andrà ben oltre i confini della famiglia e che diranno non poco sulla natura del capitalismo italiano. Possiamo pensare che nulla cambi se la proprietà finirà all’estero?
Esselunga non ha quella natura ormai multinazionale che ha spinto Fiat Chrysler a trasferire in Olanda la propria sede legale e fiscale. Non ha neppure la consolidata proiezione internazionale del principale gruppo italiano delle costruzioni, la Salini Impregilo, che ha portato, pochi giorni fa, Pietro Salini a dichiarare al Financial Times di non poter escludere di lasciare l’Italia. Né, con i suoi floridi conti, ha alcun bisogno Esselunga di ripararsi sotto un ombrello finanziariamente più robusto
o di integrarsi in un più grande e forte gruppo straniero per meglio competere sui mercati internazionali come hanno fatto tanti dei più bei nomi del lusso e della moda italiana, da Bulgari a Marzotto a Gucci a Loro Piana.
Qui non si tratta di una difesa da retroguardia dell’italianità. Stiamo parlando dell’oggettivo interesse a mantenere in Italia il controllo di un gruppo particolarissimo e molto importante per l’economia nazionale: per il volume degli investimenti e l’occupazione che è in grado di mettere in campo, per il mondo dei servizi e delle professioni al quale si rivolge, per la catena di produttori, in primo luogo nel campo dell’agroalimentare, dai quali si rifornisce.
Fondi stranieri per loro natura avversi a impegni di lungo periodo avrebbero interesse e convenienza ad investire per i nuovi supermercati che Caprotti avrebbe aperto? Dove e a chi si rivolgerebbero per i propri acquisti?
Non c’è proprio nessuno, nessun imprenditore, nessuna banca commerciale o d’affari, disposto a impegnarsi per tenere in Italia la proprietà di questo gioiello? Tutti interessati solo ad operazioni finanziarie o a settori protetti da prezzi amministrati?
Se non fosse coetaneo di Caprotti tanto da avere con lui quasi sessant’anni fa condiviso l’avventura del primo supermercato, c’è da scommettere che si farebbe avanti Marco Brunelli, che con la sua Finiper, 2,7 miliardi di ricavi, ha investito poco meno di mezzo miliardo per realizzare ad Arese, sui due milioni di metri quadrati dove sorgeva lo stabilimento dell’Alfa Romeo, il più grande centro commerciale d’Italia, inaugurato lo scorso aprile con chilometriche code sulle autostrade.
Non c’è nessun altro italiano, con qualche anno di meno ma con altrettanto coraggio, che sia disposto a giocare la partita su Esselunga?
Ci sono buone ragioni perché il gruppo non finisca nelle mani di multinazionali estere