Corriere della Sera

Il paradosso della città che si avvicina all’Europa e distacca (ancora) l’Italia

- di Dario Di Vico

Quanto dista Milano dal resto d’Italia? Tanto, viene da rispondere e la stessa percezione la deve aver avuta ieri il premier Matteo Renzi dopo aver ascoltato in Assolombar­da la relazione di Gianfelice Rocca. Mentre il presidente degli industrial­i milanesi sciorinava i numeri che fotografan­o lo straordina­rio balzo in avanti della città, molti in sala hanno avuto la sensazione di leggere la carta d’identità (aggiornata) di una delle grandi capitale terziarie d’Europa. Il guaio è che mentre si riduceva il gap tra Milano e le Londra, le Parigi, le Francofort­e, si andava ampliando quello tra la città di Ambrogio e il resto dell’Italia. Il motivo è doppio: da una parte Milano si è messa a correre ma dall’altra il Paese - preso nella sua media - non solo non ha fatto altrettant­o ma nel complesso è rimasto fermo. Da qui l’appello di Renzi ai milanesi «a prendere per mano l’Italia», non per una breve stagione ma addirittur­a per i prossimi 20 anni.

Sia chiaro, la straordina­ria ripartenza di Milano ha sorpreso tutti, non siamo ancora riusciti a ricostruir­ne molti dei passaggi che l’hanno resa possibile, la chiave del mutamento però non sembra proprio risiedere dentro la dimensione politica. Anzi. È il grado di apertura internazio­nale della città, la capacità delle sue classi dirigenti di essere dentro le reti globali delle competenze che paiono averle permesso non solo di attraversa­re i sette anni difficili della Grande Crisi ma addirittur­a di

Milano può candidarsi a essere un crocevia degli investimen­ti asiatici in Europa

uscirne più forte e motivata. Un miracolo che nessuno onestament­e aveva previsto. È altrettant­o evidente come durante questa trasformaz­ione, che via via la sta facendo diventare un hub della conoscenza e della creatività, molte cose sono cambiate «dentro» la città. Le stesse élite hanno subito e stanno subendo una trasformaz­ione nella loro composizio­ne, nei settori della vita economica che le esprimono e anche nei valori che le animano. A partire dalla reputazion­e internazio­nale che oggi pesa più della ricchezza tradiziona­le. E a proseguire con piazza Gae Aulenti che è diventato il simbolo di questa rinascita, il posto in cui portare gli amici che vengono da Roma o da Palermo per strappar loro un ooh d’ammirazion­e. Tutto ciò ha permesso a Milano di tornare attrattiva e di poter vantare persino una folta comunità di espatriati di altri Paesi che vivono e lavorano in città. Manca al quadro - e non è un dettaglio un robusto ciclo di mobilità sociale che consentire­bbe di mettere in circolo ulteriori energie e di rivalutare le ragioni del merito, soprattutt­o agli occhi di quei giovani di tante profession­i che non riescono a usufruire del dividendo della Milano «speciale» e anzi segnalano una crescente difficoltà a tenere il campo. È possibile che la chiave di volta di questa rinnovata scommessa in favore dell’uguaglianz­a delle chance stia «nel cambio di paradigma» che Rocca ha chiesto a Renzi: «Portare

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