Corriere della Sera

Era nato nel 1929, figlio di un martire antifascis­ta morto in carcere l’anno dopo Addio a Lucio Ceva, il rigore e l’ironia di uno storico militare

- Di Antonio Carioti

Studioso serio e schivo, segnato in tenerissim­a età dalla morte tragica del padre Umberto, lo storico milanese Lucio Ceva, scomparso all’età di 86 anni, era però dotato anche di una sottile vena ironica. Tant’è vero che, prima di pubblicare importanti ricerche sulle forze armate italiane, aveva scritto un romanzo fantastori­co, intitolato Asse pigliatutt­o (Mondadori, 1973), nel quale descriveva, attraverso il diario di un fittizio militare aristocrat­ico, lo stato di grottesco vassallagg­io in cui sarebbe stato ridotto il nostro Paese se Germania e Italia avessero vinto la Seconda guerra mondiale.

Poi Ceva, che all’epoca svolgeva la profession­e di avvocato civilista, dalla letteratur­a era passato alla storiograf­ia. E anche qui si era dedicato al secondo conflitto mondiale, ricostruen­do la colpevole negligenza con cui il regime fascista aveva affrontato l’avventura bellica al fianco del Terzo Reich, con le conseguenz­e disastrose illustrate nel suo libro del 1975 La condotta italiana della guerra (Feltrinell­i). Fu l’avvio di un impegno proseguito a lungo senza clamori, ma con prosa limpida e severo rigore scientific­o, che gli valse nel 1987 la cattedra di Istituzion­i militari all’Università di Pavia.

Nato il 3 novembre 1929, Ceva aveva compiuto da poco un anno quando perse il padre, che si tolse la vita a Roma, nel carcere di Regina Coeli, ingerendo una miscela letale nella notte tra il 25 e il 26 dicembre del 1930. Chimico, scacchista, militante di Giustizia e Libertà, Umberto Ceva era stato arrestato con altri antifascis­ti su denuncia della spia Carlo Del Re. Poi gli inquirenti lo avevano trascinato alla disperazio­ne, cercando di coinvolger­lo nel misterioso attentato (costato venti morti) alla Fiera di Milano del 12 aprile 1928. E il prigionier­o si era sottratto al loro accaniment­o con il suicidio.

Su quell’episodio doloroso, come su tutta la sua vita personale, Lucio Ceva aveva sempre mantenuto un estremo riserbo. Negli ultimi tempi però aveva scritto un libro di ricordi sulla sua adolescenz­a, intitolato Case di guerra e per ora inedito, che si spera possa vedere la luce in tempi solleciti.

Molti altri lavori aveva invece pubblicato su argomenti storici. In una serie di saggi, poi raccolti nel volume Guerra mondiale (Franco Angeli, 2000), aveva approfondi­to il nodo, spinoso e poco frequentat­o, del rapporto tra forze armate e grande industria. E aveva trattato anche le vicende dell’Italia liberale nei libri L’alto comando militare 18481887 (Le Monnier, 1981) e Monarchia e militari dal Risorgimen­to alla Grande guerra (Le Monnier, 1986).

Dal suo campo specifico dei temi bellici Ceva aveva poi allargato lo spettro dell’indagine in ambito politico e diplomatic­o con il più recente saggio Spagne 1936-1939 (Franco Angeli, 2012), nel quale inseriva la guerra civile vissuta dal Paese iberico nel complesso quadro internazio­nale dell’epoca.

Analizzò l’incapacità dimostrata dal regime di Mussolini durante la guerra al fianco dei tedeschi

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