«L’ultimo film sul pittore perseguitato dal comunismo»
«Aveva 90 anni ma era pieno di progetti, era ricoverato da una settimana in un ospedale di Varsavia. Gli ho parlato, era calmo, la sua morte è stata del tutto inattesa», dice Michal Kwiecinski, amico e produttore di Wajda.
Il regista venerdì era atteso alla Festa del cinema a Roma.
«Sì, e non vedeva l’ora. Era sicuro che ce l’avrebbe fatta, parlavamo di una proiezione in Vaticano. Il suo film Afterimage è la storia del pittore Wladyslaw Strzeminski che fu perseguitato nella Polonia sovietizzata del dopoguerra. E finì per arredare le vetrine dei negozi. Il mio paese lo ha candidato agli Oscar, è stato accolto trionfalmente a un festival polacco e a Toronto».
Ci sono echi della Polonia di oggi che flirta con l’autoritarismo?
«Non intenzionalmente, ma Wajda era un genio che precorreva i tempi. Strzeminski era un astrattista e il governo chiedeva realismo, non è così conosciuto nemmeno da noi, Wajda non voleva farne un eroe: è un film sulla libertà degli artisti e di ogni individuo».
Ha vissuto la censura?
«Per dodici anni non gli permisero di fare film. Anche se questo governo Insieme Michal Kwiecinski e Andrzej Wajda non gli piaceva, non ha mai pensato di lasciare il paese, al contrario di altri registi polacchi di cui non parlava mai, aveva una idiosincrasia per gli aneddoti. Era profondamente legato alla lingua e alla cultura della Polonia. Ed era ottimista sui giovani».
Qual è l’eredità artistica di Wajda?
«Nel mio paese non abbiamo registi con la sua integrità, col suo senso di giustizia. Lascia un grande vuoto».