Corriere della Sera

CAMBIARE COSTITUZIO­NE LE ESPERIENZE ITALIANE

- Pietro Volpi pietrovolp­i@virgilio.it

Qualche giorno fa lei ci ha brevemente tratteggia­to le differenze sostanzial­i fra le modifiche costituzio­nali del governo Berlusconi e quelle del governo Renzi su cui saremo chiamati a votare nel prossimo dicembre. A suo parere, quale delle due sarebbe la più adatta per il nostro Paese?

Caro Volpi,

La riforma del governo Berlusconi era più coraggiosa. Affrontava in modo più netto il problema della «decisione» che in Italia, dalla fine della Seconda guerra mondiale ha quasi sempre ceduto il passo a quello della «rappresent­anza». Si ispirava al premierato della Gran Bretagna, un Paese in cui il governo ha progressiv­amente svuotato i poteri del sovrano per conferirli al Primo ministro. Faceva chiarezza sulle funzioni del presidente della Repubblica, una figura istituzion­ale condannata a oscillare continuame­nte fra due ruoli difficilme­nte compatibil­i: quello del notaio e quello del «deus ex machina». Ma quella riforma è stata bocciata dagli elettori ed è troppo legata al nome di Berlusconi per diventare nuovamente attuale. Oggi la scelta è fra la riforma presentata al Paese dal governo Renzi e lo «status quo», vale a dire

GALATEO POLITICO /1

la conservazi­one di un sistema in cui la capacità di decidere è notevolmen­te inferiore a quella di tutte le altre maggiori democrazie europee.

In realtà, caro Volpi, le due riforme hanno uno stesso difetto: quello di essere state scritte dai partiti in Parlamento, vale a dire da forze politiche che avrebbero sempre cercato di adottare regole conformi ai loro interessi. Era inevitabil­e, in tale situazione, che ogni progetto fosse associato al nome di coloro che ne erano i maggiori promotori e che il «sì» fosse percepito come una loro vittoria politica. Nel 2006 i no erano voti contro Berlusconi; nel prossimo dicembre i «no», in buona parte, saranno voti contro Renzi.

Esisteva un altro modo per riformare la Carta? Il metodo migliore, a mio avviso, sarebbe stato quello di una Assemblea costituent­e formata da persone che non avrebbero potuto candidarsi alle elezioni politiche, dopo la fine dei lavori, per almeno una legislatur­a. Ma esiste in Italia una ortodossia costituzio­nale che venera la Carta del ’48 e considera blasfema ogni sua revisione. Questo partito della vecchia Costituzio­ne si è sempre opposto alla prospettiv­a di una nuova Costituent­e e continuere­bbe a opporsi probabilme­nte se il «no», in dicembre, vincesse la partita.

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