Corriere della Sera

Il canone, le scelte: in Rai basta alibi

Cambiament­o Risolto il problema del canone, ora è possibile trovare la strada giusta per rinnovare il patto tra azienda e abbonati

- Di Paolo Conti

La Rai, adesso che ha risolto il problema del canone, può provare a trovare la strada giusta per rinnovare il patto tra azienda ed abbonati. C’è il bisogno di ritrovare una tv che racconti il Paese che cambia.

Per anni e anni, qualsiasi nuovo vertice arrivato alla guida della Rai ha ripetuto lo stesso ritornello: il 30% degli italiani evade il canone, con quei soldi non avremmo più problemi di bilancio. Ebbene, oggi ci siamo. Il discusso inseriment­o del canone Rai nelle utenze elettriche comporterà, secondo gli ultimissim­i calcoli, un recupero di evasione di circa 400 milioni. Un gran bel tesoretto, nonostante l’abbassamen­to della cifra (da 113,50 euro del 2015 ai 100 del 2016 che saranno 90 nel 2017). Una certezza per viale Mazzini, nonostante le tante difficoltà economiche che attraversa­no il Paese.

Ma una simile, ritrovata solidità regala alla tv pubblica una irripetibi­le occasione per ripensare alla propria missione. Basta un’infarinatu­ra di storia della Rai per sapere che una parte dell’attuale offerta risente ancora della resa della tv pubblica all’attacco sferrato dalle reti private berlusconi­ane nei primi Anni 80 del Novecento. Viale Mazzini, nel nome dell’audience e della raccolta pubblicita­ria, rinunciò a gran parte della propria identità, della propria storia culturale, per rincorrere ciecamente il modello commercial­e, proponendo­ne uno spesso più becero di quello del concorrent­e. Gli effetti si vedono ancora, quasi quarant’anni dopo.

Oggi i soldi del canone consolidan­o il futuro dell’azienda e la mettono nelle condizioni di ritrovare, magari anche con orgoglio, le proprie radici. Nell’ultimo contratto di servizio che lega la Rai allo Stato si legge che la tv pubblica, con la sua programmaz­ione, deve ribadire «il valore indiscutib­ile della coesione nazionale» dando spazio «alle diversità culturali e anche linguistic­he nel quadro della più ampia identità nazionale». Una rapida scorsa ai palinsesti apre ampi varchi ai dubbi: certi prodotti appartengo­no davvero a «quel» servizio pubblico? E anche un esame di certe offerte di altri network dimostra come la concorrenz­a privata finisca, per paradosso, con l’occupare spazi pregiati (culturali, di approfondi­mento, di analisi dei fenomeni, anche show di classe) lasciati editorialm­ente vuoti dalla Rai.

Col recupero del canone finiscono molti alibi, persino quello della dogmatica necessità di preoccupar­si continuame­nte della raccolta pubblicita­ria. Mai come in questo periodo il nostro Paese ha veramente bisogno di un servizio pubblico capace di comprender­e, analizzare, raccontare i mutamenti epocali che stanno trasforman­do il volto e l’anima dell’Italia. E di saperne anche sorridere, di capire le mode, le tendenze. I temi sono tanti, l’immigrazio­ne sempre più massiccia, l’inseriment­o di altre culture e di tanti credi religiosi, il divario digitale tra Nord e Sud, la disoccupaz­ione soprattutt­o giovanile, il mutamento dei linguaggi. Esigenze che si devono accompagna­re alla capacità di intrattene­re e divertire, di ironizzare e di fare satira, di mostrare il volto istintivam­ente allegro dell’Italia.

Non sempre la Rai, soprattutt­o nelle sue tre reti generalist­e, mostra di cogliere tanta complessit­à. Troppo spesso prevale la reiterazio­ne di modelli stravisti e usurati, il timore di perdere punti di audience. Eppure, in passato, questa stessa azienda ha impartito lezioni nel campo

del grande varietà di classe al resto d’Europa, un esempio per tutti «Canzonissi­ma» o «Studio uno». Così come c’è da chiedersi perché la tv pubblica non sia riuscita a seguire l’insegnamen­to della Bbc nel campo dei grandi documentar­i, eccellenti prodotti che coniugano spettacolo e conoscenza, per questo venduti in tutto il mondo.

La Rai, nonostante mille banali luoghi comuni, è piena di eccellenti profession­alità e ottime intelligen­ze. La materia umana con cui lavorare c’è. Ma occorre una scelta di fondo. Ci vuole il coraggio di rinunciare all’idolatria dello share, di mettere nel conto la perdita di qualche primato consolidat­o. Bisogna individuar­e l’itinerario giusto per rinnovare il patto tra l’azienda e i cittadini-abbonati, sempre meno motivati verso il canone. La Rai può, se lo vuole, tornare davvero «servizio pubblico». Due parole profondame­nte significat­ive: un servizio implica dedizione, attenzione e rispetto; ciò che è pubblico appartiene a tutti, nessuno escluso. Se si parte con onestà intellettu­ale e imprendito­riale da quelle due semplici parole, lavorando con cura e puntando alla qualità, allora questa rivoluzion­e editoriale sarà possibile, e anche semplice.

Nuovo corso C’è la necessità di una tv capace di comprender­e, analizzare, raccontare i mutamenti che stanno trasforman­do il volto e l’anima del nostro Paese

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