Il canone, le scelte: in Rai basta alibi
Cambiamento Risolto il problema del canone, ora è possibile trovare la strada giusta per rinnovare il patto tra azienda e abbonati
La Rai, adesso che ha risolto il problema del canone, può provare a trovare la strada giusta per rinnovare il patto tra azienda ed abbonati. C’è il bisogno di ritrovare una tv che racconti il Paese che cambia.
Per anni e anni, qualsiasi nuovo vertice arrivato alla guida della Rai ha ripetuto lo stesso ritornello: il 30% degli italiani evade il canone, con quei soldi non avremmo più problemi di bilancio. Ebbene, oggi ci siamo. Il discusso inserimento del canone Rai nelle utenze elettriche comporterà, secondo gli ultimissimi calcoli, un recupero di evasione di circa 400 milioni. Un gran bel tesoretto, nonostante l’abbassamento della cifra (da 113,50 euro del 2015 ai 100 del 2016 che saranno 90 nel 2017). Una certezza per viale Mazzini, nonostante le tante difficoltà economiche che attraversano il Paese.
Ma una simile, ritrovata solidità regala alla tv pubblica una irripetibile occasione per ripensare alla propria missione. Basta un’infarinatura di storia della Rai per sapere che una parte dell’attuale offerta risente ancora della resa della tv pubblica all’attacco sferrato dalle reti private berlusconiane nei primi Anni 80 del Novecento. Viale Mazzini, nel nome dell’audience e della raccolta pubblicitaria, rinunciò a gran parte della propria identità, della propria storia culturale, per rincorrere ciecamente il modello commerciale, proponendone uno spesso più becero di quello del concorrente. Gli effetti si vedono ancora, quasi quarant’anni dopo.
Oggi i soldi del canone consolidano il futuro dell’azienda e la mettono nelle condizioni di ritrovare, magari anche con orgoglio, le proprie radici. Nell’ultimo contratto di servizio che lega la Rai allo Stato si legge che la tv pubblica, con la sua programmazione, deve ribadire «il valore indiscutibile della coesione nazionale» dando spazio «alle diversità culturali e anche linguistiche nel quadro della più ampia identità nazionale». Una rapida scorsa ai palinsesti apre ampi varchi ai dubbi: certi prodotti appartengono davvero a «quel» servizio pubblico? E anche un esame di certe offerte di altri network dimostra come la concorrenza privata finisca, per paradosso, con l’occupare spazi pregiati (culturali, di approfondimento, di analisi dei fenomeni, anche show di classe) lasciati editorialmente vuoti dalla Rai.
Col recupero del canone finiscono molti alibi, persino quello della dogmatica necessità di preoccuparsi continuamente della raccolta pubblicitaria. Mai come in questo periodo il nostro Paese ha veramente bisogno di un servizio pubblico capace di comprendere, analizzare, raccontare i mutamenti epocali che stanno trasformando il volto e l’anima dell’Italia. E di saperne anche sorridere, di capire le mode, le tendenze. I temi sono tanti, l’immigrazione sempre più massiccia, l’inserimento di altre culture e di tanti credi religiosi, il divario digitale tra Nord e Sud, la disoccupazione soprattutto giovanile, il mutamento dei linguaggi. Esigenze che si devono accompagnare alla capacità di intrattenere e divertire, di ironizzare e di fare satira, di mostrare il volto istintivamente allegro dell’Italia.
Non sempre la Rai, soprattutto nelle sue tre reti generaliste, mostra di cogliere tanta complessità. Troppo spesso prevale la reiterazione di modelli stravisti e usurati, il timore di perdere punti di audience. Eppure, in passato, questa stessa azienda ha impartito lezioni nel campo
del grande varietà di classe al resto d’Europa, un esempio per tutti «Canzonissima» o «Studio uno». Così come c’è da chiedersi perché la tv pubblica non sia riuscita a seguire l’insegnamento della Bbc nel campo dei grandi documentari, eccellenti prodotti che coniugano spettacolo e conoscenza, per questo venduti in tutto il mondo.
La Rai, nonostante mille banali luoghi comuni, è piena di eccellenti professionalità e ottime intelligenze. La materia umana con cui lavorare c’è. Ma occorre una scelta di fondo. Ci vuole il coraggio di rinunciare all’idolatria dello share, di mettere nel conto la perdita di qualche primato consolidato. Bisogna individuare l’itinerario giusto per rinnovare il patto tra l’azienda e i cittadini-abbonati, sempre meno motivati verso il canone. La Rai può, se lo vuole, tornare davvero «servizio pubblico». Due parole profondamente significative: un servizio implica dedizione, attenzione e rispetto; ciò che è pubblico appartiene a tutti, nessuno escluso. Se si parte con onestà intellettuale e imprenditoriale da quelle due semplici parole, lavorando con cura e puntando alla qualità, allora questa rivoluzione editoriale sarà possibile, e anche semplice.
Nuovo corso C’è la necessità di una tv capace di comprendere, analizzare, raccontare i mutamenti che stanno trasformando il volto e l’anima del nostro Paese