Corriere della Sera

L’appoggio degli americani e la prudenza del Pd: può diventare un boomerang

Renzi più atlantista e meno europeista. Delrio: decidono i cittadini

- di Francesco Verderami

Nel momento più basso dei suoi rapporti con Bruxelles, Renzi vive il momento più alto dei suoi rapporti con Washington, e per auto-difesa l’Europeismo fa spazio all’Atlantismo. D’altronde, quanto accaduto ieri alla Casa Bianca non ha precedenti. Nemmeno George W. Bush — che pure alla vigilia delle elezioni in Italia del 2006 aveva offerto a Berlusconi il palco del Congresso americano — si era spinto in un endorsemen­t per l’«amico Silvio» simile a quello fatto da Barack Obama per l’«amico Matteo».

Certo, nei palazzi della politica romana tutti sapevano che il presidente statuniten­se avrebbe dato il suo appoggio a Renzi, alla vigilia della sfida referendar­ia di dicembre. Ma nessuno — nell’opposizion­e come nella maggioranz­a — immaginava che Obama non solo si sarebbe speso in un sostegno così netto e circostanz­iato a favore della riforma costituzio­nale, ma sarebbe addirittur­a arrivato a lambire le colonne d’Ercole della diplomazia, soffermand­osi sulle dinamiche interne italiane, «consiglian­do» a Renzi di restare comunque al suo posto, anche se la riforma venisse bocciata.

Ecco la novità, il confine che i più importanti partner europei — per quanto schierati con il capo del Pd — avevano mai varcato. Può darsi che Obama, da leader dell’Occidente, abbia voluto sostenere Renzi nel complicato gioco dei rapporti di forza con le cancelleri­e del Vecchio Continente, con le istituzion­i comunitari­e, magari con i mercati finanziari. E per quanto prossimo a lasciare la Casa Bianca, abbia anticipato anche la linea della prossima Amministra­zione, se dovesse vincere Hillary Clinton.

Ma inevitabil­mente l’iniziativa ha provocato la reazione delle forze di opposizion­e in Italia, che in forme diverse hanno criticato Obama fino a denunciare una sua «ingerenza nella politica interna». E c’è un motivo se persino il Pd ha voluto subito attenuare gli effetti nazionali dell’endorsemen­t americano, se il ministro Graziano Delrio ha sottolinea­to che «i cittadini italiani voteranno con la loro testa e il loro cuore», e «quindi» le parole di Obama «non cambierann­o le sorti del referendum». È come se si avvertisse il timore di un effetto boomerang sull’opinione pubblica, a cui si è rivolta la Lega denunciand­o di fatto una «violazione di sovranità».

Si vedrà se le opposizion­i cavalchera­nno questa linea, già adottata dal «fronte del No» dopo la sortita a favore delle riforme dell’ambasciato­re americano a Roma. Nel caleidosco­pio di posizionam­enti, si va dallo «scandalo» per «scambio di favori militari» sollevato dai Cinque Stelle, fino all’approccio — solo all’apparenza più morbido — di Berlusconi, che vede un «premier non eletto» cercare una «legittimaz­ione» anche internazio­nale con il voto sulla riforma costituzio­nale.

Il rischio del cortocircu­ito interno è evidente. Perché un conto è l’incidenza di certe mosse sull’establishm­ent, altra cosa è l’impatto sui cittadini. I sondaggi spiegano come l’atteggiame­nto degli elettori sia decisament­e cambiato rispetto al passato, tanto che nemmeno i leader dei partiti sembrano riuscire a orientare il voto sul referendum. E c’è poi il precedente nel Regno Unito. Allora Obama si era esposto a favore di David Cameron e contro la Brexit. Ora, insieme a tutta la sua amministra­zione, muove a protezione di Renzi, considerat­o dal segretario di Stato John Kerry «figura centrale in Europa».

Di più. Il presidente americano mette in relazione la riforma della Costituzio­ne con la ripresa dell’economia, in netta controtend­enza rispetto — per esempio — a Mario Monti, uomo di forti relazioni internazio­nali. È uno spaccato di un mondo sempre più interdipen­dente, dà l’idea che sul referendum si confrontin­o interessi contrappos­ti. Anche se il 4 dicembre voteranno solo gli italiani.

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