«Sofferenze, una bad bank di sistema Bisogna realizzare un SuperAtlante»
Magagni: alle Bcc serve una holding unica, noi siamo i candidati naturali
Anche se tiene un basso profilo, Giulio Magagni è una figura chiave nel sistema bancario italiano: presidente del gruppo Iccrea, l’ex Istituto centrale delle Casse rurali e artigiane, Magagni guida la banca che dovrebbe diventare seconda per numero di sportelli con l’integrazione degli istituti di credito popolari sotto un’unica holding prevista dalla riforma dei mesi scorsi. A meno che le holding del credito cooperativo non diventino due, se davvero Cassa Centrale Banca si affermerà come polo alternativo a Iccrea stessa.
Lei crede ancora nello scenario di una holding unica attorno a voi?
«A differenza di Trento noi siamo il gruppo di tutti. Facciamo riferimento al mondo associativo di tutti i territori. Presentiamo il progetto che abbiamo presentato alla Banca centrale europea, sulla base di un concetto: è un piano che non esclude nessuno, può essere integrato da ulteriori proposte, ma dev’essere in linea con la normativa. Pensiamo che oggi il credito cooperativo non si possa dividere».
Non si può dividere, perché finanziariamente non sarebbe sostenibile?
«No. Invece di creare una forza, creeremmo due debolezze».
Cioè la situazione patrimoniale di alcune banche sarebbe troppo difficile da sostenere in due poli separati?
«Per far funzionare un gruppo servono economie di scala e volumi di un bilancio consolidato con un certo tipo di margini, costi e redditività. Sono valori fondamentali per andare sul mercato dei capitali. Noi abbiamo già un patrimonio di 1,7 miliardi, ben sopra le soglie minime, mentre Trento è ancora molto sotto partendo da 230 milioni. Se ci dividessimo, dovremmo sdoppiare gli investimenti. E le banche che aderiranno non eserciterebbero la forza che avremmo avuto insieme».
La preoccupa che la sua azienda venga fusa con tante banche piccole da salvare?
«Non c’è nessun rischio. La vigilanza nazionale farà una revisione della qualità degli attivi delle banche più piccole nel 2017 sulla base dei bilanci 2016. L’obiettivo è proprio mettere a nudo eventuali fragilità e prepararsi a affrontarle».
Poi però bisogna trovare i capitali, non trova?
«Il credito cooperativo ha sempre risolto le crisi al proprio interno. Abbiamo anche pagato i 230 milioni a sostegno di quattro banche esterne al nostro sistema (Etruria, Marche, Carife e CariChieti, ndr), anche se da noi nessuno viene a mettere soldi da fuori. Quello è stato un esproprio, eh. Un vero esproprio».
Lo dice perché pensa che quei soldi non torneranno indietro?
«Noi non abbiamo mai chiesto niente a nessuno. Ora abbiamo messo 230 milioni nelle quattro banche, che non torneranno mai indietro e anzi ora ci verrà chiesto di metterci di nuovo le mani nelle tasche. È questa la tragedia: per ricapitalizzare e vendere le cosiddette quattro banche “buone”, dovremo pagare di nuovo. Oltre ai 40 milioni messi nel fondo Atlante. Ma almeno su quest’ultimo c’era la possibilità di utilizzarlo per comprare crediti insolventi».
Anche se le singole crisi bancarie venissero risolte, in Italia restano 360 miliardi di crediti deteriorati lordi. Serve un intervento di sistema?
«Sarebbe auspicabile, se fosse importante e complessivo. Tutte le banche italiane e, penso, anche la vigilanza ritengono che siamo di fronte a un problema sistemico che va risolto in maniera sistemica».
Cioè un intervento pubblico, colpendo i risparmiatori?
«Non necessariamente dev’essere un intervento pubblico. Oggi c’è un problema di valutazione delle garanzie, in una fase debole del ciclo economico. Le
garanzie presentate alle banche per ottenere i prestiti sono prevalentemente legate a piccole e medie imprese. Oggi il loro valore di mercato è teorico».
La proposta A differenza di Trento noi siamo il gruppo di tutti i territori Piccole imprese Le garanzie presentate alle banche sono prevalentemente legate alle Pmi
Tradotto: i capannoni delle imprese indebitate spesso sono invendibili.
«Per questo vanno create strutture che diano il tempo al ciclo economico di girare. Ci vuole una bad bank che permetta di diluire il processo. Anche se per questa bad bank servissero dai dieci miliardi in su, ciò cambierebbe radicalmente la percezione e il costo del capitale delle banche italiane. Il modello Atlante suggerisce che c’è una volontà di contribuire da parte del sistema finanziario».
Voi ci mettereste il doppio o il triplo dei soldi che avete già messo in Atlante?
«Lo valuteremmo con grande attenzione».