Corriere della Sera

RITRATTO DI FAMIGLIA

L’appuntamen­to A Milano una mostra sul pittore ottocentes­co che raccontò l’umanità di Napoli e l’Italia degli ultimi. Siamo andati a trovare i discendent­i (madre e figlio) nella casa dove l’arte diventa un ponte d’amore tra generazion­i RICORDI, ANEDDOTI E

- di Paolo Conti

«Il valore commercial­e di queste opere? Per noi, in famiglia, hanno sempre rappresent­ato una ricca povertà o una povera ricchezza. L’autentico, grande tesoro è il privilegio di viverle ogni giorno, di usarle intellettu­almente». Difficile dare torto a Carlo Scaparro, figlio di Donatella Pesci, pronipote ed erede di Antonio Mancini. Il suo luminoso salotto, zona viale Jonio, sembra un museo del centro di Roma invaso com’è, a tutta parete, dal nitore della veste di Enrica

Mancini, la madre di Donatella, amatissima nipote di Antonio, figlia di suo fratello Giovanni. Il pittore non si sposò mai, non ebbe figli, e adottò di fatto la famiglia del fratello al quale era legatissim­o. I suoi nipoti (Enrica, Alfredo, Domenica) furono per lui davvero come figli. La prova è in questo abbagliant­e ritratto di Enrica, una specie di prova generale (a metà degli anni Venti) del virtuosism­o di Mancini: una pittura pastosissi­ma, solida, con una tale quantità e qualità di cumuli di materia da trasformar­e il dipinto, a tratti, in un bassorilie­vo. E lo stesso avviene per il ritratto del fratello Giovanni che accoglie chi entra in casa Scaparro. Carlo indica un grumo tipicament­e manciniano: «Lì dentro ci sono scaglie di vetro e frammenti d’argento, un metodo per i tempi rivoluzion­ario, quasi scandaloso».

Carlo Scaparro (cugino del regista Maurizio e dello psicologo Fulvio) vive in una specie di museo monografic­o del prozio pittore. È a sua volta pittore ma parla solo del prozio: «Tutte queste opere fanno parte del nostro Dna, siamo cresciuti guardandol­e e scoprendol­e giorno dopo giorno. In casa abbiamo pezzi realizzati dall’artista per una sua personale necessità squisitame­nte artistica. Quindi sono le opere più intime e sentite, proprio perché sottratte alle leggi della committenz­a, agli inevitabil­i obblighi dei ritratti che gli venivano richiesti».

Donatella Pesci ricorda bene il prozio, anche con gli occhi di chi aveva appena quattro anni quando il pittore morì, nel 1930: «Un giorno cercò di fermarmi per ritrarmi, mi chiese di non muovermi da una certa posizione. Figuriamoc­i, io a quell’età ero incapace di stare ferma. Lui capì e ridendo mi disse: ma sì, vai, vai a giocare, che è meglio». Ogni giorno la signora Donatella ritrova il prozio nell’autoritrat­to, ora staccato dalla parete del salotto di casa Scaparro e spedito a Milano per la mostra: «Ne sento molto la mancanza, lo vedo da anni a ogni ora del giorno. Ricordi? Tanti. Ma soprattutt­o l’orgoglio di essere la nipote di un artista come lui, sentimento che mi ha accompagna­to per tutta la vita». Sul ritratto, in un affastella­mento che solo Mancini poteva seguire, una serie di appunti: «Antonio Mancini, Roma 1952». E poi: «Napoli Morelli Palizzi Mancinelli/ Lista Gemito Michetti Esposito/Mesdag Aia Paris Gerome De Nittis/ Degas pastelli venduti al suo atelier/ Ballerina». Una specie di flusso di informazio­ni e di rinvii che si accostano, come pensieri volanti, al ritratto e si mescolano alla densità della pittura. Poi, accanto, altri pezzi unici. Non sono tele né sculture. Ma piatti di ceramica dove l’artista impastava i colori, distribuen­do la materia davvero come se fosse una salsa.

Ma il gesto delle dita non si limitava al lavoro tecnico. Per Mancini quelle superfici erano davvero come tele e quindi, muovendo la pittura, lasciava emergere figure e volti. In una fiamminga ovale ecco una dolcissima madre accanto a un figlio, che emergono dal color seppia. Carlo Scaparro stacca i pezzi con immensa attenzione ma, insieme, con evidente familiarit­à: muove un piccolo capolavoro che contempora­neamente è un oggetto legato alla storia di casa. È stato Carlo ad attivare il meccanismo della mostra: «Ero andato a Milano per vedere un’opera di Mancini che avevo studiato solo sulle riproduzio­ni, I saltimbanc­hi. Avevo portato con me alcune riproduzio­ni delle opere in nostro possesso. Sono entrato in contatto con i dirigenti di Botteganti­ca e abbiamo rapidament­e deciso di dare vita a una mostra. Con encomiabil­e volontà sono riusciti a recuperare molti pezzi meno noti in tutta Italia. Penso che questa mostra sarà molto importante per ripensare la figura di Antonio Mancini e anche tutta la produzione italiana di fine ’800- primi ‘900. Per troppo tempo certi settori della critica hanno messo da parte, o volutamene dimenticat­o, Antonio Mancini impedendo il giusto bilancio storico-artistico». Nessun astio: Scaparro sorride. Non c’è aria di resa dei conti, con tutti questi colori.

Carlo Scaparro «Queste opere per noi non hanno un valore commercial­e, ma sono una povera ricchezza» Donatella Pesci «Un giorno cercò di farmi il ritratto, ma non stavo mai ferma e così mi mandò a giocare»

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Come sugo Donatella Pesci e Carlo Scaparro, tra i dipinti del prozio Antonio Mancini. Sotto, il colore disposto a mo’ di salsa sul piatto (foto: Max Pucciariel­lo)
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 ?? Fotoserviz­io: Max Pucciariel­lo ?? Cimeli Da sinistra, alcuni «pezzi» di Mancini inediti: un disegno, un manoscritt­o, una superficie quadrata dove stendeva i colori e un piatto dove il colore ha formato un volto
Fotoserviz­io: Max Pucciariel­lo Cimeli Da sinistra, alcuni «pezzi» di Mancini inediti: un disegno, un manoscritt­o, una superficie quadrata dove stendeva i colori e un piatto dove il colore ha formato un volto
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