RELAZIONI CON LA RUSSIA STORIA DI UNA PACE FALLITA
Dobbiamo prendere sul serio i tamburi di guerra ( fredda, si spera) che il Cremlino sta rullando, invitando i russi a prepararsi allo scontro con l’Occidente, con esercitazioni e scorte di cibo? Mi ha sorpreso una dichiarazione della Cancelliera Merkel, che ha invitato ad aumentare le sanzioni contro la Russia. Veniamo a sapere che soldati italiani verranno schierati sul Baltico, in Lettonia, ai confini con la Russia. Il ministro Gentiloni si affretta a chiarire che «Queste decisioni non influiscono sulla linea del dialogo con Mosca». Mosca risponde piccata. Comunque la si veda, si tratta di una escalation che fa rabbrividire. In questi casi, salvo particolari eccezioni, la colpa non è mai tutta di una sola parte, come si vorrebbe fare credere (i russi cattivi e gli occidentali buoni). Credo che ciascuno abbia le proprie ragioni. Lei che ha trattato spesso l’argomento, come vede la situazione attuale?
Cara Signora,
STorino
e ciascuno ha le sue ragioni, quali potrebbero essere quelle di Putin? Credo che occorra risalire all’autunno del 1989 mentre Vladimir Putin, tenente colonnello del Kgb, era responsabile dell’ufficio di Dresda nella Repubblica Democratica Tedesca. Quando il crollo del muro provocò dimostrazioni popolari in molte città della Rdt e la folla cominciò a rumoreggiare nella strada in cui aveva il suo ufficio, Putin chiamò al telefono il comando delle truppe sovietiche dislocate nella Germania orientale e chiese istruzioni. Gli fu risposto che niente poteva essere fatto senza gli ordini della capitale e che Mosca taceva. Dovette provvedere da solo alla sicurezza della sede e lo fece in due modi. Scese nella strada e disse bruscamente alla gente che il palazzo, se necessario, sarebbe stato difeso con le armi. Tornò nei suoi uffici e fece bruciare tutte le carte contenute negli archivi. Raccontò poi, in molte occasioni, che il falò durò ininterrottamente per un giorno e una notte sino a quando la stufa minacciò di esplodere. Quel rassegnato silenzio di Mosca gli restò impresso nella mente. Non rimpiangeva il comunismo, ma provava rabbia e sdegno per il modo in cui una grande potenza mondiale aveva rinunciato al suo ruolo, alle sue responsabilità e alle sue prerogative. Fu chiaro, dal momento in cui mise piede al Cremlino, che la Russia avrebbe smesso di tacere e che il suo presidente si sarebbe adoperato per ridare al proprio Paese l’influenza perduta.
Ho creduto agli inizi che avrebbe cercato di farlo insieme alle democrazie occidentali. Il fine settimana trascorso nel ranch texano di George W. Bush, gli incontri quasi fraterni con Silvio Berlusconi, le buone relazione con il cancelliere tedesco Gerhard Schröder e con il presidente francese Jacques Chirac, la creazione di un Consiglio Nato-Russia al vertice di Pratica di Mare nel 2002 sembravano dimostrare che vi erano le condizioni per uno storico incontro fra l’Est e l’Ovest nell’ambito di una grande organizzazione per la sicurezza collettiva.
Se questo non è accaduto, le responsabilità, come lei giustamente suggerisce, non possono essere soltanto in uno dei due campi. Per quanto ci concerne penso che l’allargamento della Nato a una lobby pregiudizialmente anti-russa, composta dagli ex satelliti dell’Urss e dalle Repubbliche baltiche, abbia pregiudicato un progetto di pacifica convivenza che era agli inizi del secolo possibile e promettente.