IL DILEMMA POLITICO DI LONDRA
L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (un problema che il governo di Londra credeva di potere affrontare con i considerevoli poteri di cui gode tradizionalmente l’esecutivo del Regno Unito) è improvvisamente diventata una imbrogliata crisi politica e costituzionale. Con una sentenza emessa ieri, l’Alta Corte britannica non riconosce al governo di Sua Maestà il diritto di avviare il negoziato con la Commissione di Bruxelles senza avere prima consultato la Camera dei Comuni e forse anche quella dei Lord. I referendum britannici sono consultivi e la necessità di una verifica parlamentare sarebbe legalmente giustificata. Ma il Primo Ministro replica che la convocazione di un referendum e i suoi quesiti erano già stati approvati da un voto dei Comuni; non sarebbe necessario quindi interpellare nuovamente i membri del Parlamento. Ma l’Alta Corte sembra sostenere che non è possibile modificare i diritti acquisiti dai cittadini britannici nell’ambito della Ue senza un dibattito parlamentare. Vi sarà un ricorso del governo e leggeremo di qui a qualche tempo, verosimilmente, un’altra sentenza. Ma il dramma di cui saremo spettatori nelle prossime settimane non sarà soltanto la prosecuzione di una vicenda ormai nota: se la Gran Bretagna voglia restare nell’Ue o uscirne. Sarà anche un duello fra politica e giustizia.
Non sarà il primo nelle democrazie occidentali. Abbiamo assistito a parecchi interventi della Corte Suprema americana contro le iniziative del presidente degli Stati Uniti.
Sorpresa L’uscita dall’Ue è una imbrogliata crisi politica e costituzionale Imprudenza Non sarà facile riparare il guasto provocato dall’ex premier Cameron
Sappiamo che la elezione di George W. Bush alla Casa Bianca nel novembre del 2000 è stata decisa in Florida dall’ordinanza di un giudice della Corte Suprema che aveva una evidente simpatia per il partito repubblicano. Sappiamo che il Tribunale costituzionale di Karlsruhe può bloccare per qualche mese la ratifica di un trattato della Repubblica federale nell’ambito dell’Unione Europea. Sappiamo che la Corte costituzionale italiana può cancellare una legge elettorale. Ma il caso britannico è quello di un Paese che non ha una carta costituzionale ed è giustamente noto per avere sempre sottratto l’Esecutivo e il Legislativo a condizionamenti esterni. Forse l’errore del Primo Ministro David Cameron, quando credette di potere ammansire con un referendum la fazione euroscettica del suo partito, fu di avere somministrato una dose di democrazia diretta a un Paese in cui la democrazia è sempre stata rigorosamente indiretta.
Non sarà facile riparare il guasto provocato dall’imprudenza
di Cameron. Se il governo di Theresa May non vincerà il ricorso, assisteremo a un dibattito parlamentare in cui verrà rimessa in discussione l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue. Secondo calcoli fatti prima del referendum, i partigiani del Remain (quelli che non volevano uscire dall’Unione) erano più numerosi di quelli che volevano uscirne. È possibile che i dubbi dei mercati finanziari sul futuro della City e alcune stime negative sulle esportazioni della Gran Bretagna verso il mercato unico abbiano rafforzato il primo gruppo. Ma non è escluso che molti parlamentari, se dovessero scegliere fra il primato della politica e quello dei giudici, sceglierebbero la politica. La Commissione di Bruxelles, per il momento, potrà soltanto aspettare. Quando verrà il momento dei negoziati, tuttavia, sarà bene evitare concessioni che permettano alla Gran Bretagna di restare nel mercato unico senza rispettare gli altri obblighi dei Trattati europei. Ciò che sta accadendo in queste ore conferma che sarà sempre un difficile compagno di viaggio.