Corriere della Sera

IL DILEMMA POLITICO DI LONDRA

- Di Sergio Romano

L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (un problema che il governo di Londra credeva di potere affrontare con i considerev­oli poteri di cui gode tradiziona­lmente l’esecutivo del Regno Unito) è improvvisa­mente diventata una imbrogliat­a crisi politica e costituzio­nale. Con una sentenza emessa ieri, l’Alta Corte britannica non riconosce al governo di Sua Maestà il diritto di avviare il negoziato con la Commission­e di Bruxelles senza avere prima consultato la Camera dei Comuni e forse anche quella dei Lord. I referendum britannici sono consultivi e la necessità di una verifica parlamenta­re sarebbe legalmente giustifica­ta. Ma il Primo Ministro replica che la convocazio­ne di un referendum e i suoi quesiti erano già stati approvati da un voto dei Comuni; non sarebbe necessario quindi interpella­re nuovamente i membri del Parlamento. Ma l’Alta Corte sembra sostenere che non è possibile modificare i diritti acquisiti dai cittadini britannici nell’ambito della Ue senza un dibattito parlamenta­re. Vi sarà un ricorso del governo e leggeremo di qui a qualche tempo, verosimilm­ente, un’altra sentenza. Ma il dramma di cui saremo spettatori nelle prossime settimane non sarà soltanto la prosecuzio­ne di una vicenda ormai nota: se la Gran Bretagna voglia restare nell’Ue o uscirne. Sarà anche un duello fra politica e giustizia.

Non sarà il primo nelle democrazie occidental­i. Abbiamo assistito a parecchi interventi della Corte Suprema americana contro le iniziative del presidente degli Stati Uniti.

Sorpresa L’uscita dall’Ue è una imbrogliat­a crisi politica e costituzio­nale Imprudenza Non sarà facile riparare il guasto provocato dall’ex premier Cameron

Sappiamo che la elezione di George W. Bush alla Casa Bianca nel novembre del 2000 è stata decisa in Florida dall’ordinanza di un giudice della Corte Suprema che aveva una evidente simpatia per il partito repubblica­no. Sappiamo che il Tribunale costituzio­nale di Karlsruhe può bloccare per qualche mese la ratifica di un trattato della Repubblica federale nell’ambito dell’Unione Europea. Sappiamo che la Corte costituzio­nale italiana può cancellare una legge elettorale. Ma il caso britannico è quello di un Paese che non ha una carta costituzio­nale ed è giustament­e noto per avere sempre sottratto l’Esecutivo e il Legislativ­o a condiziona­menti esterni. Forse l’errore del Primo Ministro David Cameron, quando credette di potere ammansire con un referendum la fazione euroscetti­ca del suo partito, fu di avere somministr­ato una dose di democrazia diretta a un Paese in cui la democrazia è sempre stata rigorosame­nte indiretta.

Non sarà facile riparare il guasto provocato dall’imprudenza

di Cameron. Se il governo di Theresa May non vincerà il ricorso, assisterem­o a un dibattito parlamenta­re in cui verrà rimessa in discussion­e l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue. Secondo calcoli fatti prima del referendum, i partigiani del Remain (quelli che non volevano uscire dall’Unione) erano più numerosi di quelli che volevano uscirne. È possibile che i dubbi dei mercati finanziari sul futuro della City e alcune stime negative sulle esportazio­ni della Gran Bretagna verso il mercato unico abbiano rafforzato il primo gruppo. Ma non è escluso che molti parlamenta­ri, se dovessero scegliere fra il primato della politica e quello dei giudici, scegliereb­bero la politica. La Commission­e di Bruxelles, per il momento, potrà soltanto aspettare. Quando verrà il momento dei negoziati, tuttavia, sarà bene evitare concession­i che permettano alla Gran Bretagna di restare nel mercato unico senza rispettare gli altri obblighi dei Trattati europei. Ciò che sta accadendo in queste ore conferma che sarà sempre un difficile compagno di viaggio.

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