L’arma Melania in Pennsylvania
Primo e unico comizio dell’ex modella in Pennsylvania, dove i repubblicani mirano al voto operaio
I repubblicani più ortodossi sono i primi a credere che Donald Trump, alla fine, non ce la farà a vincere in Pennsylvania. Pat Toomey, il senatore uscente del Grand Old Party, in corsa per la rielezione, ne è così sicuro che ha condotto tutta la campagna elettorale prendendo costantemente le distanze da Trumpito. Non c’è un manifesto, una spilletta, un volantino in cui compaiano affiancati Pat e Donald. E si sono regolati nello stesso modo gli altri concorrenti repubblicani, in lizza per un seggio alla Camera dei rappresentanti. Sanno, o comunque immaginano, che i loro elettori sono stati traumatizzati soprattutto dalle frasi sessiste di Trump. La media dei sondaggi calcolata da Real Clear Politics assegna a Hillary Clinton un vantaggio del 3%.
Il tycoon, per cercare di recuperare, ha chiesto a sua moglie Melania di tenere in Pennsylvania l’unico discorso della campagna, dopo l’uscita alla Convention di Cleveland. Ma ieri a Berwyn, non lontano da Filadelfia, c’era poca gente. Melania si è presentata così: «Sono una mamma a tempo pieno. E tutte le mamme sanno quanto siano fortunate. Voglio che i nostri figli vivano una vita fantastica, che si sentano al sicuro e protetti. Sarà mio onore e privilegio servire questo Paese. Da first lady sarò al fianco delle donne e dei bambini». Niente, neanche un cenno alle accuse di molestie sessuali rivolte a «The Donald». Poi Melania ha raccontato la sua vicenda personale, la sua vita da modella, l’arrivo negli Stati Uniti, ovviamente «simbolo di libertà e opportunità», che il consorte «farà tornare grande». Non è sembrato uno di quegli interventi che lasciano il segno. Ma si vedrà l’8 novembre.
In Pennsylvania sono in palio 20 grandi elettori sul totale di 270 necessari per entrare alla Casa Bianca. Chi ha la maggioranza, prende tutto il pacchetto in questo «swing State», uno degli Stati in bilico. L’ultima volta ha vinto Barack Obama.
Se si guarda la mappa dello Stato la lettura politica è molto semplice. Le due grandi città Filadelfia e Pittsburgh sono capisaldi democratici indiscussi, come fossero due piccole New York o Los Angeles. Ma sono divise da una fascia a forma di lettera t che, invece, è iper conservatrice, come fosse l’Alabama.
Che cosa farà la differenza? Gli esperti dei due partiti, sciamani dei numeri, concordano: l’affluenza alle urne nell’area metropolitana di Filadelfia. Solo qualche numero. Gli elettori democratici registrati sono 900 mila, quelli repubblicani solo 100 mila. D’accordo: dagli anni Cinquanta in poi, la sfida è segnata. Ma il punto è quanti democratici andranno alle urne. Se saranno più di 400 mila, allora Hillary conquisterà l’intera Pennsylvania.
L’essenza purissima dello spirito conservatore dello Stato e forse dell’intera America è coltivata nell’Union League club, il più reputato del Paese, fondato nel 1862 dai sostenitori di Abraham Lincoln. Al piano nobile dell’edificio la Sala dei presidenti: solo ritratti di repubblicani. L’ultimo è George W. Bush. Barack Obama? «Non se ne parla», sorride Frank Giordano, ex presidente del club, uomo d’affari, amico personale di Trump e del giudice iper conservatore Antonin Scalia, morto nel febbraio scorso. Di fianco a lui Joseph Del Raso, partner della Pepper Hamilton, holding di servizi legali, una delle prime 100 società americane per redditività. Tutti e due sostengono il candidato repubblicano, ma con sano e sperimentato realismo. Dice Del Raso: «Trump ha scardinato gli schemi, andandosi a prendere i voti della classe lavoratrice, con un approccio populista. Non solo gli operai, ma anche i tecnici specializzati. Bisognerà vedere quanto le organizzazioni sindacali saranno in grado di fermare la fuga di consensi dal campo di Hillary. Non voglio dire che le elezioni siano truccate, ma diciamo che i democratici sono molto
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“organizzati”. E ricordo che, purtroppo, negli Stati Uniti si può votare anche senza presentare un documento di identità». Aggiunge Giordano: «Certo non è semplice, ma confidiamo sul sentimento anti Clinton che è molto diffuso in Pennsylvania. Anche a Filadelfia e, sembrerà strano, anche tra gli afroamericani».
Polemiche e speranze a parte, c’è un punto politico molto chiaro. Lo spiega ancora Frank Giordano: «Per i repubblicani è fondamentale non perdere la maggioranza nel Senato. Stiamo rischiando di finire stritolati tra una presidenza e una Corte suprema in mano ai democratici».
In Pennsylvania si gioca, sotto traccia, una partita nella partita. È uno Stato dove l’elezione del senatore non è scontata e quindi può cambiare gli equilibri a Washington. Non è un caso se la campagna elettorale per il seggio a Capitol Hill, Pat Toomey e la sua concorrente democratica Katie McGinty, hanno speso in totale 118 milioni di dollari: una cifra mostruosa per una terra con 12 milioni e mezzo di abitanti.