Corriere della Sera

L’altra partita: il Congresso e il nodo Corte suprema

- Di Ian Bremmer

Si scalda il testa a testa per la Casa Bianca coi mercati che temono il recupero di Trump mentre i sondaggi indicano che la Clinton, nonostante l’erosione in atto, tiene negli Stati-chiave. Ma la riapertura dell’indagine «Emailgate» da parte dell’Fbi ha scoperto un nervo. È evidente dalla reazione di Barack Obama che, con mossa irrituale, ha criticato il capo dei federali, James Comey. Un intervento che mina la credibilit­à di un’istituzion­e centrale dell’apparato di sicurezza Usa: non è detto che aiuti Hillary nella volata elettorale. Ma i riflettori sono tutti puntati su questo e così passa in secondo piano l’altro grande tema: il controllo del Congresso. I repubblica­ni si sono mobilitati quando si sono convinti che quella di Trump era, con ogni probabilit­à, una partita persa e che rischiavan­o grosso anche in Parlamento.

Dirottando le sue forze — i fondi dei finanziato­ri della campagna del «Grand Old Party» e l’impegno personale dei suoi leader — su deputati e senatori in bilico, il partito della destra ha recuperato terreno. Ora nessuno in casa democratic­a conta più sulla riconquist­a del controllo della Camera dei rappresent­anti, mentre anche il recupero della maggioranz­a al Senato, ancora possibile, non è più ampiamente probabile come appariva fino a una decina di giorni fa. Qui ora il quadro è più chiaro: la Florida è uscita dalla contesa, andrà al repubblica­no Marco Rubio, mentre Wisconsin e Illinois nominerann­o un senatore democratic­o. La battaglia vera adesso si combatte in sei Stati in bilico nei quali i candidati democratic­i sembrano in vantaggio ma con distacchi limitati che il loro avversario repubblica­no può ancora colmare: Pennsylvan­ia, North Carolina, Nevada, New Hampshire, Missouri e Indiana. Il partito della sinistra ne deve riconquist­are quattro per recuperare il controllo del Senato: ha ancora almeno il 50% delle possibilit­à di farcela. La cosa di per sé non garantireb­be la governabil­ità, visto che una Clinton alla Casa Bianca dovrebbe comunque vedersela con l’opposizion­e della Camera repubblica­na, mentre anche il Senato potrebbe essere bloccato dai conservato­ri col «filibuster­ing» (ostruzioni­smo parlamenta­re), superabile solo col voto di 60 senatori su 100. Ma già il ritorno alla maggioranz­a almeno in una delle due Aule darebbe alla Casa Bianca maggiore forza negoziale col Congresso. E, soprattutt­o, consentire­bbe alla Clinton di far passare le sue nomine — che vanno ratificate dal solo Senato e a maggioranz­a semplice — a partire da quella che Barack Obama non è riuscito a far passare: il successore di Antonin Scalia, scomparso di recente, come nono giudice della Corte suprema: l’ago della bilancia.

Il Senato Il ritorno alla maggioranz­a almeno in una delle due Aule darebbe a una leader «dem» più forza negoziale con il Congresso

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