Corriere della Sera

«La mia Chiesa? Deve fare politica pensando a diritti come casa e lavoro»

- Luigi Accattoli www.luigiaccat­toli.it

uando diventerò Papa — dice don Gino Rigoldi, prete ambrosiano, prendendos­i in giro — farò togliere dalle chiese metà dei crocifissi e li farò sostituire con grandi immagini di Cristo risorto, perché dobbiamo imparare a essere gioiosamen­te figli di Dio. Già abbiamo una liturgia piagnucolo­sa che dice a ogni passo “pietà di me”, se poi ci assale la sindrome dell’ospedale da campo siamo davvero fregati. Diveniamo tristi e non ci occupiamo più della totalità degli uomini che sono intorno a noi». Ci si potrebbe immaginare che don Rigoldi, che è quasi un prete di strada, sia entusiasta dell’idea bergoglian­a dell’ospedale da campo, ma non è così: «Io sto da sempre nel pronto soccorso dell’ospedale da campo e lì resterò ma dico che la Chiesa non può essere tutta e solo un ospedale da campo. Francesco è bravissimo, sono felice che sia Papa, ma c’è altro da fare oltre che chiuderci a curare i feriti e gli intossicat­i». C’è da pensare, dice il prete dei carcerati, anche alla gente che non ha ferite e chiede d’essere aiutata nella vita ordinaria: «Per esempio ai ragazzi che non si sposano perché non ce la fanno né ad acquistare, né a prendere in affitto un appartamen­to. O alle coppie che non possono avere un figlio perché non arrivano alla fine del mese». Don Rigoldi respinge l’obiezione che occuparsi di lavoro e di retribuzio­ni sia fare politica: «La Chiesa non deve entrare nella politica spicciola, quella dei partiti, ma nella grande politica, quella delle idee ci deve entrare eccome! Non dobbiamo soltanto soccorrere chi è a terra, ma anche aiutare chi è in piedi a non cadere. La comunità cristiana deve concepirsi come parte costituent­e della casa comune da realizzare. Tutti sono mio prossimo e non solo i feriti della vita». «Nella società ci sono molti bisogni — dice ancora — che non sono riconducib­ili all’ospedale da campo. Spesso si tratta di prevenzion­i rispetto all’ospedale: chi esce dal carcere e non ha lavoro sarà costretto a rubare e a tornare dentro. La Chiesa dovrebbe sensibiliz­zare la popolazion­e perché si faccia prevenzion­e del disagio e promozione dei diritti in tutti i settori del bisogno sociale: lavoro, salute, scuola, casa». Don Gino si occupa da decenni di carcere minorile e di ragazzi usciti dalla detenzione. Ha fondato «Comunità nuova» per accoglierl­i. Un gruppo lo ospita a casa sua. Da quanto è in questo settore — dal 1972 — dice che saranno forse trentamila quelli che ha conosciuto, consigliat­o, aiutato. Non si interessa solo agli ex carcerati e attira l’attenzione dei suoi collaborat­ori sul problema della casa. Segnala che a Milano ci sono 23 mila persone in lista per l’assegnazio­ne di un alloggio popolare e che tanti di loro non l’avranno mai se ci affidiamo a quello che possono fare da sole le istituzion­i. Vorrebbe che ambienti associativ­i cattolici dessero una mano a iniziative di Housing sociale, o edilizia abitativa sociale. «Comunità nuova» attualment­e gestisce 17 piccoli appartamen­ti nell’ambito di un programma denominato «Housing provvisori­o» che vengono messi a disposizio­ne di persone che da sole non potrebbero pagarsi un alloggio in Milano. L’ultimo libro dell’irrequieto don Rigoldi è intitolato «Non amate troppo Dio. La felicità è anche di questa terra» (Rizzoli 2015): ma non è fuori luogo preoccupar­si che si vada troppo verso Dio in un’epoca secolare come questa? «Quel titolo — dice — vuole scuotere il credente tradiziona­le che magari non fa nulla per il prossimo ma ritiene di amarlo perché ama Dio».

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