Corriere della Sera

L’ERA DEI MEDICI CRONOMETRA­TI

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S e per un guasto si porta l’auto dal meccanico e si chiede quando sarà pronta, spesso la risposta è: «Mi lasci guardare non so quanto tempo ci vorrà». Quando nell’ambulatori­o di un ospedale si deve visitare un malato, invece, le direzioni stabilisco­no quanti minuti deve durare la visita, e al numero di minuti stabilito ci si deve attenere, pena reprimende e riduzione dei budget.

Ma un malato è meno importante di un automobile visto che anche nel caso del paziente non si sa esattament­e che cosa abbia, lo si debba visitare e arrivare a un «consenso informato»?

Anche i medici dovrebbero avere gli stessi diritti di un provetto meccanico per poter fare bene il loro lavoro.

La riflession­e non è peregrina: in alcuni ospedali milanesi, e non solo, il tempo medio di visita deve essere di 20 minuti a paziente.

Bisogna essere veloci, attenersi all’orologio, sinergici agli obiettivi delle direzioni generali. Essere in pratica le cinghie di trasmissio­ne della produzione aziendale.

Nessun direttore generale, se interrogat­o in proposito, dirà mai che la regola è tassativa, sta di fatto, però, che se il medico sfora i tempi, lui e/o il suo reparto verranno penalizzat­i. E le attenuanti saranno veramente poche!

Si parla tanto di empatia, di ascolto, di spiegazion­i corrette, di visite scrupolose, di tempi non strozzati, ma come è possibile se le cose stanno in questi termini?

Situazione schizofren­ica per il medico “tirato per la giacca” da una parte e dall’altra: di qui le regole aziendalis­te, di là il malato, per il quale ha studiato e si è specializz­ato.

Situazione difficile da cambiare anche se è previsto qualche finanziame­nto in più e qualche assunzione per favorire l’attività di visita.

Purtroppo questa mentalità economicis­tica, che vuole l’ospedale azienda di fatturato e catena di montaggio, si è fortemente radicata anche negli operatori.

Ormai plagiati dal sistema, dimentican­o l’obiettivo vero del loro operare: più bravo è chi fa “girare” più velocement­e i malati e produce maggiori introiti, non chi ascolta e cura. Si sono invertiti i valori.

Per fermare questa deriva è necessario un mutamento radicale: cambiare le regole, correggere obiettivi e mentalità, programmar­e con logiche completame­nte diverse.

Ritornare in altri termini alla vera finalità degli ospedali che con i loro medici devono primariame­nte assistere e curare.

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