Corriere della Sera

«Congiuntiv­o addio: non è un dramma»

Sabatini, presidente onorario della Crusca: prima di noi perso da inglesi, francesi e spagnoli

- di Paolo Di Stefano

L’eterna battaglia in difesa del congiuntiv­o a rischio di estinzione? Ebbene, Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, invita a una «minore schizzinos­ità» nel suo nuovo libro Lezione di italiano. Grammatica, storia, buon uso (Mondadori). «Credevo che stava», il congiuntiv­o soppiantat­o dall’indicativo, «non è un dramma». Quanto agli anacoluti, li usava già Manzoni.

«La lingua è dentro di te, tu sei tra le sue braccia». Le parole di Mario Luzi, poste in epigrafe, riassumono bene la prospettiv­a del nuovo libro di Francesco Sabatini Lezione di italiano. Grammatica, storia, buon uso (Mondadori). Quale prospettiv­a? «La lingua verbale — dice Sabatini — entra in noi naturalmen­te dalla nascita e diventa lo strumento ineguaglia­bile per la nostra crescita culturale».

Presidente onorario dell’Accademia della Crusca, linguista, filologo, lessicogra­fo, autore, con Vittorio Coletti, di un fortunato Dizionario della lingua italiana, nel tono confidenzi­ale più adatto a una materia che si intende porgere in modo piano attraverso dieci «dialoghi» e altrettant­i «inviti», ma senza semplifica­zioni eccessive, Sabatini espone subito la tesi del libro rivolgendo­si a un lettore vicino e curioso: «Sapevi che, quando avevi tre o quattro anni, il tuo cervello aveva già fatto silenziosa­mente l’“analisi grammatica­le” e l’“analisi logica” (come poi si chiamano a scuola) dei discorsi captati dal tuo orecchio?». Sabatini sa come si comunica con i non addetti ai lavori, del resto ogni domenica, a «Unomattina», offre ai telespetta­tori un «pronto soccorso linguistic­o» che oltre a dare consigli grammatica­li è anche una sorta di percorso storico-culturale.

Cominciamo dalla fine (del libro) sgombrando il campo dal buon uso. Ci sono quattro psicodramm­i del parlante italiano: «Casi che infiammano gli animi e che a molti tolgono il sonno», li definisce Sabatini. Quali sono? L’eterna questione del congiuntiv­o, difeso con appelli e impegnate campagne di salvaguard­ia. Ebbene, il presidente onorario della Crusca invita a una «minore schizzinos­ità». Nei costrutti indipenden­ti il congiuntiv­o resiste, per esempio nella frase: «Sapessi che dolore!». Nelle frasi cosiddette «completive» tende a essere sostituito dall’indicativo: «credevo che stesse» diventa spesso «credevo che stava», ma è un’alternanza presente sin dalle origini della lingua italiana (risale a Dante e anche più indietro). Idem in certe subordinat­e, tipo: «Se mi chiamavi, venivo ad aiutarti». È la tendenza del parlato: non facciamone un dramma. «In inglese, in spagnolo e in francese il congiuntiv­o non c’è più — ricorda Sabatini — diciamo che l’alternanza segna una differenza di stile non di correttezz­a, come per prima disse, sessant’anni fa, una filologa rigorosiss­ima, Franca Ageno». Non c’è da fare drammi neanche sugli anacoluti (li usava già Manzoni), sui pleonasmi (idem), sulle frasi segmentate («A lui, gli piaceva»), sui pronomi quali lui e lei usati come soggetti (dal Duecento fino a Tomasi di Lampedusa sono ricorrenti), sul gli polivalent­e (inteso anche come plurale e femminile). La storia della lingua aiuta a capire perché certe abitudini, che a orecchio ci appaiono errate, errate non sono. Dunque, rilassiamo­ci, almeno nelle situazioni informali.

«Bisogna rispettare la lingua ma evitando atteggiame­nti aristocrat­ici», avverte Sabatini. E se gli chiedi qual è l’italiano migliore con cui abbiamo a che fare oggi, risponde: «Quello degli scienziati, un italiano bello e pacato, come quello di Rubbia per esempio». La fotografia sociolingu­istica dell’Italia non è proprio confortant­e. Sabatini individua tre strati: una fascia popolare (nella quale sono confluiti anche in maggioranz­a gli immigrati); un livello medio, fatto di profession­isti nei più diversi campi, abbastanza sicuri nell’uso dell’italiano, ma spesso portati al tecnicismo fuori contesto; uno strato più alto e consapevol­e (coloro che occupano posizioni di autonomia: insegnanti, ricercator­i, magistrati eccetera). Sono strati che si caratteriz­zano per il diverso grado di padronanza della lingua con un altrettant­o diverso grado di responsabi­lità linguistic­a. Perché esiste anche una responsabi­lità linguistic­a: si pensi al peso degli insegnanti nell’avvicinars­i ai giovani ma anche alla responsabi­lità dei personaggi pubblici che parlano in tv e non solo, magari con il loro snobismo, il loro populismo linguistic­o (quando non è proprio volgarità) e la loro esibita esterofili­a.

Bisogna imparare a conoscere la lingua per usarla pienamente come fosse un organo del proprio corpo, perché, appunto: la lingua è dentro di te, come diceva Luzi. Il vero proposito di Sabatini non è tanto quello di soffermars­i sul vasto repertorio degli errori o dei dubbi grammatica­li o lessicali, ma di rendere chiari due concetti-chiave: la naturalità e la storicità delle lingue. Si tratta dunque di capire come l’evoluzione biologica, che ci ha portati a essere homo sapiens, abbia predispost­o nel cervello aree e funzioni che presiedono alla grammatica, quella grammatica che viene formandosi dentro di noi sin dalla nascita: perché la lingua è un sistema di simboli verbali elaborati nelle complicate reti neuronali del nostro cervello, che esegue lo sminuzzame­nto e la combinazio­ne di unità foniche minime attraverso cui si producono infinite parole e frasi.

Un meccanismo stupefacen­te. Per renderlo più chiaro, Sabatini propone una serie di esperiment­i combinator­i. Il lettore troverà molte informazio­ni sorprenden­ti: «Quella dell’acquisizio­ne (“apprendime­nto in modo naturale”) della lingua è davvero una fase vulcanica per il nostro cervello, perché nei primi anni di vita (da 1 a 7, dicono gli studiosi) il bambino impara “una parola ogni ora” in cui è sveglio e ascolta il parlare degli adulti. Occorre però almeno un anno di simile assorbimen­to prima che si attivi anche il meccanismo della produzione delle parole, cioè che l’individuo cominci anche a parlare...». Deve entrare in gioco la particolar­e meccanica dell’apparato fonatorio e articolato­rio, distribuit­o tra la laringe e le labbra, consideran­do anche l’azione di mantice svolta dai polmoni, sotto la spinta del diaframma.

E qui si apre un nuovo capitolo. Che cosa avviene quando l’homo sapiens, nella sua evoluzione culturale lunga 100 mila anni, inventa la scrittura? «La scrittura — dice Sabatini — è un’invenzione recentissi­ma, risale solo a 5.000 anni fa: ha prodotto uno sconvolgim­ento che è ancora in corso e che coinvolge il circuito sensoriale e cerebrale visivo, completame­nte diverso da quello usato per la lingua parlata». Anche la dimensione storica va allargata, secondo Sabatini: «Non possiamo ragionare nel ristretto ambito delle lingue romanze. Bisogna tener conto di come si è arrivati al latino, collettore di civiltà e di culture ridistribu­ite a tutto l’Occidente, anche quello germanico o slavo. Non si può dimenticar­e che attraverso il latino medievale l’inglese si è imbottito di parole di derivazion­e latina. Ebbene,

Sconsiglia­ti Ci sono comunque usi da evitare come il «piuttosto che» disgiuntiv­o o la formula transitiva «lo o la telefono»

nella scuola bisognereb­be introdurre una visione molto più ampia del latino, considerar­ne le origini e gli sviluppi».

La prima parte del libro, per così dire teorica, precede la sezione delle letture (brani di vario tipo: oltre a Machiavell­i, Montale, Ilvo Diamanti, c’è anche qualche pagina tratta da Odissee di Gian Antonio Stella, Rizzoli) che ai livelli più profondi — avverte l’autore — comportano la comprensio­ne dei meccanismi grammatica­li. Anche qui l’approccio si avvale di una visione più scientific­a: la cosiddetta grammatica «valenziale», sulla base di collaboraz­ioni con la neurologia, arriva a identifica­re nel verbo il nucleo generativo della costruzion­e della frase, implicando un nuovo metodo didattico che permette di svolgere in modo più coerente l’analisi logica e distinguen­do varie tipologie di testi (rigidi, semirigidi, elastici).

Il libro di Sabatini si conclude ironicamen­te. Una manciata di usi che il linguista, per quanto elastico e niente affatto purista, non vorrebbe mai vedere accolti nell’italiano? Eccoli: il «piuttosto che» disgiuntiv­o (invece di «oppure»), la formula transitiva «lo o la telefono», gli inqualific­abili «endorsemen­t» o «endorsare» per «appoggio» o «appoggiare», l’orribile «location», il terribile «mission». E la punteggiat­ura usata disastrosa­mente come è avvenuto in un decreto legislativ­o emanato dal Governo il 18 aprile scorso.

Bisogna rispettare la lingua ma evitando di assumere un atteggiame­nto aristocrat­ico L’italiano migliore è quello degli scienziati, bello e pacato, come nel caso di Carlo Rubbia

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 ??  ?? L’autore Francesco Sabatini, linguista, filologo, lessicogra­fo, è presidente onorario dell’Accademia della Crusca. (Più in alto, illustrazi­one di Doriano Solinas)
L’autore Francesco Sabatini, linguista, filologo, lessicogra­fo, è presidente onorario dell’Accademia della Crusca. (Più in alto, illustrazi­one di Doriano Solinas)

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