Mps, le invasioni di campo
Politica Il decreto di intervento per Monte dei Paschi di Siena deve indicare l’orizzonte temporale della ri-privatizzazione, per evitare il vecchio statalismo. E servono garanzie credibili sulla trasparenza delle nomine e la remunerazione dei manager
Una Monte dei Paschi nazionalizzata non sarebbe dei partiti, ma dei contribuenti, che oggi non sono più disposti a fare il minimo sconto di fronte agli sprechi.
Il 30 marzo 1935, appare sull’Economist un articolo di Luigi Einaudi che l’autore non si sarebbe mai augurato di vedere ancora attuale 81 anni più tardi. Parlava della Banca Commerciale Italiana, del Credito Italiano, del Banco di Roma e del Credito Marittimo. «La maggioranza delle azioni delle banche è stata trasferita all’Istituto per la Ricostruzione Industriale e, poiché l’Iri è un organismo pubblico, le quattro banche sono adesso di fatto istituti dello Stato». E poco sotto, Einaudi aggiungeva: «Chiaramente, l’Iri si è stancato di comprare tutte le azioni che arrivavano sul mercato» (ossia di sottoscrivere gli aumenti di capitale).
È appena il caso di ricordare che quanto probabilmente accadrà entro fine anno non si vedeva in Italia dai presunti «anni del consenso» del fascismo. È da allora che nel Paese più nessuna banca è stata nazionalizzata per garantirne il salvataggio, come ci si prepara a fare per il Monte dei Paschi di Siena. Con un’infinità di passi indietro, timida, imperfetta, la direzione dell’Italia dopo la crisi politico-finanziaria del 1992 era stata semmai opposta: l’uscita prima dello Stato e poi della politica dalle banche, il tentativo di mettersi alle spalle le istituzioni economiche del fascismo tramandate per decenni nell’Italia repubblicana.
Il problema è proprio qui: quell’eredità era sopravvissuta fin troppo bene fino a troppo poco tempo fa. Non in termini ideologici, naturalmente, ma in termini istituzionali sì. La politica era entrata nelle banche negli Anni 30 e vi era rimasta con la democrazia prima grazie al controllo pubblico, poi a fondazioni vulnerabili come quella del Monte dei Paschi. I contribuenti italiani tra pochi giorni non dovrebbero mettere a disposizione sette miliardi di euro per salvare l’istituto, se questo non fosse stato il principio di gestione prevalente fino a pochissimo tempo fa.
È una pagina di storia che il governo entrante dovrà tenere presente ogni singolo giorno, e non solo perché Mps era controllata dall’attuale partito di maggioranza. Qualunque sia la forza al potere oggi e in futuro, la politica italiana faticherà sempre a controllare la tenta- zione di vedere nel credito ciò che spesso vede nella spesa pubblica: uno strumento di potere e gestione delle clientele, senza criteri di efficienza né cura per l’interesse collettivo di lungo periodo.
Vale quindi la pena di ricordare perché oggi il governo e i partiti non se lo possono più permettere, se e quando Mps e magari in primavera Veneto Banca e Popolare di Vicenza verranno nazionalizzate. In primo luogo, non possono permetterselo perché sarebbe illegale: la «ricapitalizzazione precauzionale» concordata con la Commissione europea consente il rimborso dei piccoli obbligazionisti solo se l’intervento dello Stato è «di natura temporanea» (dall’articolo 32 della direttiva europea sulle risoluzioni bancarie). Se il governo entrasse in Mps per restarvi, potrebbe aprirsi un contenzioso che rischia di gettare nell’incertezza 40 mila famiglie risparmiatrici. È dunque necessario che il decreto di nazionalizzazione indichi l’orizzonte della ri-privatizzazione e, per questo, la banca proceda comunque a separarsi dalla massa dei suoi crediti in default.
In secondo luogo, la politica non si può permettere un ritorno allo statalismo nel credito perché i tempi sono cambiati. Una Monte dei Paschi nazionalizzata non sarebbe dei partiti, ma dei contribuenti. E questi oggi non sono più disposti a fare il minimo sconto di fronte agli sprechi, agli abusi di potere o ai comportamenti opportunistici.
Perciò dovranno esservi garanzie. La più elementare è che la remunerazione dei manager sia trasparente e adeguata: alla nomina in settembre, la parte fissa del compenso dell’amministratore delegato di Siena per esempio è stata fissata sopra quella del capo-azienda di Bnp Paribas, cioè della prima banca europea. Davvero inevitabile?
Ma una garanzia più importante riguarda il metodo di nomina degli amministratori da parte dell’azionista pubblico di controllo. Il Tesoro dovrebbe creare un comitato indipendente di personalità indiscusse, italiane ed europee, chiamate a valutare e giudicare i candidati al consiglio d’amministrazione di Monte dei Paschi. Le opinioni di questi esperti sui singoli dirigenti dovrebbero essere scritte e consultabili in Rete.
Possono naturalmente esserci altri metodi per garantire che gli amministratori di Mps, italiani e europei, siano stati scelti solo perché lo meritano in pieno. L’importante è che sia così. Lasciamo il 1935 agli scaffali della storia.