I tre fronti contro Verdini Ala al governo è già un caso
Muro di Alfano, minoranza pd e FI. E il leader deve anche contenere i suoi
La risposta alla vittoria del No sarà un governo simile al Renzi, con l’aggiunta di Denis Verdini? È questo il modo con cui si risponde alla stragrande maggioranza degli italiani che ha votato No? È questa la discontinuità? Rimane da capire se la carta sarà giocata già oggi, durante la Direzione del Pd. Oppure se gli oppositori interni di Matteo Renzi aspetteranno la composizione dell’esecutivo per dare inizio al fuoco di fila. Perché il tallone d’Achille del nascituro governo guidato da Paolo Gentiloni è lo stesso di quello appena uscito di scena. E cioè Denis Verdini, che rischia di passare — in una settimana appena — da tessitore della grande riforma poi cancellata dal referendum a leader della terza forza della nuova maggioranza. Con un unico punto fermo tra il presente e il passato, che rimanda al numero dei processi a cui il senatore toscano è atteso fuori dal Parlamento.
L’uomo macchina di tre lustri di berlusconismo, rimasto nel campo renziano dopo la fine del Patto del Nazareno, si trova per la prima volta alle prese con tre fronti contemporaneamente. La minoranza Pd, ovviamente, che lo userà per attaccare la «finta discontinuità» tra Renzi e Gentiloni. I suoi ex amici di Forza Italia, che hanno numeri più pesanti dei suoi da spendere sul tavolo della legge elettorale. E anche vicini di casa della grande area centrista, a cominciare da Angelino Alfano, che faranno di tutto pur di non vedersi scavalcati dal senatore toscano tanto sul fronte dei posti di governo, quanto su quello della legge elettorale.
Da tassello (anche aritmeticamente) decisivo della prima fase del renzismo a ingombro troppo grande per il dopo-referendum, Verdini si trova nella difficile condizione di dover tenere a bada anche chi — tra i suoi — punta a riconfermarsi nel governo (Enrico Zanetti) o spera in un posto al sole del sottogoverno.
E così ieri pomeriggio, dopo un giorno e mezzo di telefonate senza risposta, il senatore toscano ha preso il cellulare e ha scritto a tutti componenti dei gruppi parlamentari di Ala. «Cari amici, al momento non ho avuto alcun contatto con Paolo Gentiloni. I nomi di cui sentite parlare come possibili ministri non hanno alcun fondamento. Vi terrò aggiornati». Un messaggio che avrà anche placato alcuni esponenti di Ala. Ma che non ha frenato la controffensiva interna o esterna alla maggioranza di chi vorrebbe chiudere i conti con la stagione del verdinismo. Anche perché alle 19.30 di ieri Verdini è andato a consulto da Gentiloni.
E così si ritorna alla minoranza Pd, agli ex amici di Forza Italia, ai centristi di governo. Tre blocchi che nulla hanno in comune se non la voglia di depotenziare Verdini. Il senatore toscano sa che un suo ingresso diretto nell’esecutivo è ben oltre i confini della fantapolitica. Per questo ha voglia di mettere in campo un nome «alto», tipo Marcello Pera o Giuliano Urbani. Ma la rappresentanza di Ala nel nuovo governo non
può né superare né avvicinarsi a quella di Ncd. «Su questo non transigiamo», aveva fatto sapere Alfano a Renzi prima della fine della crisi di governo. Renzi, nella notte tra venerdì e sabato, aveva trovato la soluzione per tamponare anche questa emorragia. «Gentiloni al posto mio e tutti gli altri ministri al loro posto».
Qualsiasi cambio in corsa rispetto a questo schema, soprattutto se a vantaggio di Verdini, sarà un problema in più per il nuovo corso.
L’sms sui nomi Il messaggio del senatore ai gruppi di Ala: senza fondamento i nomi che sentite fare