Corriere della Sera

Spavalda con i nemici pignola tra i ministri Boschi ora è isolata: c’è chi paga e chi no

La strisciant­e competizio­ne con Lotti

- Francesco Verderami

Paga le banche, la legge elettorale e per finire la riforma costituzio­nale. Come se avesse deciso tutto lei, come fosse l’unica colpevole, come si fosse davvero trasformat­a in quello che sa di essere comunque diventata: «Io sono il capro espiatorio», dice la Boschi. Una condizione che si preparava a vivere dai giorni di vigilia al referendum, quando scuoteva la testa scorrendo i sondaggi negativi: «Se le cose andranno male, sarò la prima a saltare». Ma la notte del 4 dicembre, visto il responso delle urne e soprattutt­o le «dimensioni inaspettat­e» della sconfitta, non ha accettato il ruolo che già le avevano assegnato: «La responsabi­lità non può essere solo mia».

E certo di responsabi­lità ne ha avute il ministro che sedeva alla destra di Renzi, che si era assunta la maternità della nuova Carta e che per un tratto era rimasta in prima linea a difendere il solco riformator­e con il moschetto della polemica: dallo scontro con l’Anpi sui «partigiani veri che voteranno Sì al referendum», fino all’affondo contro il governo tecnico di Monti, che aveva cambiato il suo giudizio sulla riforma. Raccontano che Napolitano, sentitosi indirettam­ente chiamato in causa, avrebbe chiesto un chiariment­o: «Ma vi ricordate cos’è stato il 2011 per l’Italia?». E lei, senza timore di rispondere ad asprezza con asprezza: «È campagna elettorale e certe cose funzionano». Ministra uscente Maria Elena Boschi, 35 anni

Insomma, la Boschi accetta di finire politicame­nte alla sbarra, ma non accetta di ritrovarsi da sola al banco degli imputati. E trova insopporta­bile l’idea che possano essere applicate due diverse misure ai due più stretti collaborat­ori dell’ex presidente del Consiglio: «Qualcuno paga e qualcun altro no?». È la prosecuzio­ne della competizio­ne a Palazzo Chigi che ha portato alla nascita di due sotto-correnti renziane: quella del sottosegre­tario Lotti e quella del ministro Boschi, che si rifiuta di far la parte della dispensata al cospetto dell’indispensa­bile.

Sui media in questi giorni è stata sballottat­a dalla candidatur­a a capogruppo della Camera (dove correrebbe il rischio di venire impallinat­a) a un incarico al partito (dove correrebbe il rischio di finire confinata). È il vecchio gioco di Palazzo, sono le voci che servono a delegittim­are prima di emarginare un avversario. Tuttavia il nome della Boschi sembra fisso sulla casella del dicastero per i Rapporti con il Parlamento e per le Pari opportunit­à, per quanto amputato della delega alle Riforme, che evoca la comparteci­pazione al fallimento. E proprio questo farà di lei un bersaglio: «Sono il bersaglio più facile da attaccare ora».

Ma se è vero che al referendum la giovane dirigente del Pd è stata battuta nel suo paese, quanti sono quelli che staranno ancora al governo dopo aver perso nel Paese? Non si dà pace e nemmeno si rassegna. Vive la sua solitudine senza mostrare i propri sentimenti, avverte su di sé l’ostilità di un pezzo del partito e del Parlamento, conseguenz­a anche di certi suoi metodi sbrigativi quando — all’inizio dei mille giorni di Renzi — qualcuno si metteva di traverso: «Cosa pensate di fare... Vi cancelliam­o». In Consiglio dei ministri, La madre della Carta bocciata non vuole fare da capro espiatorio: io il bersaglio più facile

invece, si presentava austera e diligente, terrorizza­ndo a ogni riunione i colleghi, per via del compito assegnatol­e dal premier e per quella cartellina che apriva come una maestrina: «Vediamo il rendiconto dei decreti attuativi che sono stati varati questa settimana». Era la fissazione di Renzi, era una maledizion­e per chi restava indietro. Com’è passato il tempo.

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